Se Salvini, subito dopo l’elezione a furor di gazebo ha sentito il bisogno di confermare che la Tav si farà e se il medesimo Zingaretti, nella sua prima mattinata da segretario del Pd, ha deciso di correre proprio nei cantieri della tratta non è perché i politici italiani siano vittime di sindrome ossessiva. E’ che il lato più esposto e fragile del governo, il solo fronte che potrebbe innescare la crisi in tempi brevi è proprio la Tav, quel capitoletto lasciato in sospeso, perché altro non si poteva fare nel contratto di governo.

Zingaretti sa che nessun altro capitolo evidenzia così la divisione e la conseguente paralisi della maggioranza: ovvio che affondi la lama nella ferita aperta. Sa anche, come lo sa il leader leghista, che sulla Tav si giocherà la battaglia elettorale in Piemonte, con ricadute su tutto il nord. Tanto da poter rimettere in discussione anche la sfida autunnale in Emilia-Romagna, sino a questo momento ipotecata dalla Lega.

Il tempo stringe. Una decisione almeno sui bandi dovrebbe essere presa in settimana. Il vertice tra Conte, i vicepremier e il ministro Toninelli è convocato per questa mattina: non è detto che basti a sbrogliare una matassa che forse è già troppo intricata per essere sciolta. La stessa sindaca di Torino Appendino, M5S, chiede di risolvere una volta per tutte il dilemma. Il governatore della Lombardia Fontana, leghista, minaccia di usare la stessa arma del collega piemontese, Chiamparino, Pd: il referendum regionale. Di Maio spera che a fornire l’appiglio per un rinvio sia proprio la francese Telt, che potrebbe accontentarsi di una ricognizione tra le aziende eventualmente interessate prima dei bandi veri e propri, senza insistere per il taglio della rata del contributo europeo di 300 milioni. Basterebbe a scavallare il maledetto confine delle elezioni europee e per il leader politico dei 5S, che fra tutti i pentastellati è probabilmente il più consapevole dell’impossibilità di evitare i bandi in caso di insistenza francese, sarebbe già una boccata d’ossigeno. Nel quartier generale del capo pentastellato ci sperano ma che la Francia, dopo l’ultimatum pubblico della ministra francese dell’Industria Borne e dopo l’esposizione del ministro dell’Economia Le Maire e dello stesso Macron, faccia questo regalo ai 5S non pare facile.

Per ora le due fazioni insistono nello scambiarsi bordate di segno opposto. Salvini ostenta un ottimismo probabilmente di facciata: «Spero che prevalga il buon senso. Vedo un punto di incontro e il governo non rischia». I 5S rispondono gelandolo, prima con il sottosegretario Buffagni, «E’ un progetto obsoleto che va superato per fare cose più utili», poi facendo filtrare dichiarazioni tanto informali quanto precise: «Il tunnel base non è contemplabile. E’ invece possibile il potenziamento del tunnel del Fréjus». E’ la posizione di Toninelli, che mira a dirottare i finanziamenti europei dalla Tav al Fréjus.

Neppure i più rigidi No-Tav come lo stesso Toninelli escludono però il lancio dei bandi in tempo utile per incassare i finanziamenti europei ed evitare eventuali multe. L’idea del ministro delle Infrastrutture è la stessa che va ripetendo da una decina di giorni: lanciare i bandi per poi revocarli dopo aver incassato la quota dei finanziamenti europei e adoperare il contributo per altri scopi.

Forse Toninelli ci crede davvero ma il disegno di cui sopra è un miraggio. Una volta lanciati i bandi revocarli senza coprire il Paese di discredito sarebbe impossibile. Occorrerebbe il voto del Parlamento, comunque necessario per fermare i lavori, e in Parlamento i 5S, con solo LeU d’accordo con loro, verrebbero travolti. La storiella dei bandi revocabili entro sei mesi servirebbe solo a consentire a entrambi i partiti di fare la campagna elettorale in situazione di falsa attesa. Di fatto la decisione di proseguire con la Tav sarebbe già stata presa.

Forse la maggioranza non può affidarsi ad altro che a questa pantomima. Perché il blocco dei lavori porterebbe alla spaccatura in Parlamento, probabilmente alle dimissioni di Tria e alla crisi di governo. Ma ammettere apertamente che la Tav si farà condannerebbe M5S al disastro elettorale e forse provocherebbe la crisi ugualmente.