Quando i politici ruggiscono e minacciano morsi alla giugulare di solito significa che non succederà nulla di grave. Quando mettono la sordina, soffocano i dissensi, evitano affondi reciproci vuol dire che il problema è serio. Quello targato Tav è serissimo.

COME PREVISTO, ieri in conferenza dei capigruppo al Senato la maggioranza ha risposto picche alla richiesta del Partito democratico di calendarizzare subito la mozione pro-Tav. Prima o poi quel voto dovrà arrivare. Ma non prima che l’analisi costi-benefici, a tutt’oggi secretata, sia stata protocollata e resa ufficiale, con l’aggiunta non secondaria della perizia giuridica col conto delle eventuali penali.

Non che quell’analisi sia destinata a smuovere più che tanto le cose, qualora, come è di fatto certo, accerti che i costi superano di gran lunga i benefici. Il partito trasversale pro-Tav, infatti, non riconosce a quell’analisi valore scientifico assoluto e lo stesso tecnico che la ha stilata, il commissario Marco Ponti, offre un’arma in più: «Sarebbero serviti più tempo e più risorse. Ma la politica ha i suoi tempi e i tecnici fanno i salti mortali».

LA SPERANZA della maggioranza, esplicitata da capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo, è che quando si arriverà alle mozioni, i gialli e i verdi avranno trovato una quadra e la maggioranza potrà quindi presentare un testo comune, cosa che sarebbe impossibile in questo momento.

IN CASO CONTRARIO si può escludere che la Lega voti la mozione pro Tav del Pd, ma potrebbe presentarne una propria. Anche se al momento il Pd glissa è evidente che a quel punto i voti forzisti e quelli democratici convergerebbero sul testo pro-Tav. Non sarebbe un incidente grave. Sarebbe il colpo fatale.

LA PERIZIA ARRIVERÀ entro gennaio. Dunque Pd e M5S hanno un paio di settimane di tempo per quadrare il cerchio e la missione, se non proprio impossibile, è almeno tra le più difficili. Perché stavolta le aziende e quelle del nord in particolar modo, dunque il referente sociale numero uno della Lega, sono proprio sul sentiero di guerra, per nulla disposte a concedere anche il minimo sconto. Non passa giorno senza il martellamento del presidente di Confindustria Boccia. «I lavori devono riprendere da nord a sud e la Tav implica 50mila posti di lavoro», ha ripetuto ieri. L’insistenza sui posti di lavoro non è casuale. Mira a respingere in partenza quell’analisi costi-benefici alla quale i 5S si affidano come al Verbo. I costi dell’opera, pur se alti, avrebbero però un ritorno. Quelli delle penali sarebbero a fondo perduto.

NON CI SONO SOLO gli industriali. Le regioni leghiste del nord sono a loro volta schieratissime. «Purché la Tav si faccia va bene tutto, anche una consultazione on line», dice il governatore lombardo Fontana. Una formula pret-à-porter, rapidissima e limitata alle “regioni interessate”, cioè a quelle del nord, molto diversa dal referendum propositivo, i cui tempi sarebbero biblici, di cui si è parlato sinora.
Per un M5S lanciato in una corsa per liberarsi dall’immagine di sudditanza alla Lega sono argomenti da non prendere neppure in considerazione. Anche da quegli spalti il fuoco di sbarramento diventa ogni giorno più nutrito e ormai la linea dei 5S è netta e univoca: nessuna mediazione, la Tav deve essere bloccata senza se e senza ma. La guerriglia iniziata ieri sulle autonomie, legge per il Carroccio tanto fondamentale quanto il no alla Tav lo è per i 5S, è un monito evidente, quasi un ricatto. Ma per la Lega il prezzo da pagare in termini di credibilità presso una parte del suo mondo fondamentale, in termini di peso e influenza ancor più che di numeri, sarebbe salatissimo.