Alle 20 in punto i due soci della maggioranza arrivano all’appuntamento più difficile e più pericoloso dalla nascita del governo Conte, la decisione più che sofferta sulla Tav, nella condizione peggiore che si possa dare: quella in cui ciascuno si è già bruciato tutti i ponti alle spalle. La responsabilità pesantissima di sciogliere un nodo che in realtà non può essere sciolto senza lasciare vittime sul terreno spetta a Giuseppe Conte. Non sarà facile e lui stesso, alla vigilia del tesissimo vertice notturno, contempla l’ipotesi che la notte non basti e che si debba «andare avanti a oltranza».

Non oltre venerdì però: la sola cosa su cui tutti concordano è che quella deadline non può essere superata. Altrimenti l’Europa bloccherà 800 milioni di finanziamenti. La Commissione, come forma estrema di pressione, ha già fatto sapere che è pronta una lettera in cui si accuserebbe l’Italia di aver violato due regolamenti e si annuncerebbe il taglio. La sanzione sarebbero stata anticipata a Salvini, martedì, dal vicepresidente della Commissione Katainen.

A CARICARSI IL PESANTE fardello è stato lo stesso presidente del consiglio. «Si è assunto la responsabilità di dirimere la questione partendo dall’analisi costi-benefici», sottolinea Di Maio tentando così, con quel riferimento al documento del professor Ponti, di mettere un’ipoteca sul verdetto del premier. Ponti, peraltro, non sarà presente al summit. Al suo posto, a spiegare e difendere l’analisi che per la Lega conta meno della carta straccia, ci saranno il project manager Ramella e uno dei collaboratori, il professor Beria. Comunque, minimizza Ponti, «rispetto al problema complessivo dei trasporti, con 130 miliardi sul tavolo, la Tav è una pulce». Il problema è che a volte anche le pulci possono diventare bandiere, questioni irrinunciabili. In questo caso è già andata così.

PER TUTTA LA GIORNATA le posizioni dei 5S si sono fatte sempre più intransigenti. Nessuna mediazione: il tunnel base non s’ha da fare. Nelle ultime settimane, le posizioni dei pentastellati non si sono ammorbidite: al contrario si sono sensibilmente irrigidite. I 5S si sono convinti che mollare sulla Tav, dopo lo shock dell’autorizzazione a procedere per Salvini, sarebbe la pietra tombale. La giunta Appendino verrebbe travolta dal dissenso dei consiglieri no Tav, al Senato la maggioranza potrebbe dissolversi con la fuoriuscita di 4 o 5 senatori. «La Tav è una spesa inutile. Noi non ci stiamo», scrive definitiva Paola Taverna su Fb.

«Questa roba resterà ferma per anni», profetizza il sottosegretario Buffagni e la posizione del ministro Toninelli, che ieri ha smentito le voci di sue dimissioni prima del voto sulle mozioni di sfiducia al Senato il 21 marzo, sono note.

LA NOVITÀ È CHE sulla stessa linea è ora schierato anche Di Maio. Il leader ieri è stato tassativo, respingendo anche la presa in giro di dare il via libera ai bandi della società francese Telt riservandosi però la possibilità di revocarli. Niente da fare. Suonerebbe come una resa travestita (e in effetti proprio questo sarebbe). La condizione per il via libera ai bandi è che venga sancito per iscritto che il tunnel base non si farà. Controproposta dei 5S: trattare con la Ue, magari dopo elezioni che i 5S sperano siano provvidenziali, per dirottare i fondi su altre «opere compensative» a partire dal Fréjus.

La Lega ha già bocciato l’idea. Salvini è meno bellicoso dei pentastellati ma solo in apparenza: «Io ragiono con tutti. Ma l’Italia deve andare avanti». Nel pomeriggio ha fatto il punto con tecnici e sottosegretari e all’uscita non ha lasciato margini di dubbio: «Sulla Tav non c’è un ’forse’ ma solo un sì o un no. I tecnici confermano che non fare la Tav costa più che farla». Salvini lascia ai soci tre vie d’uscita: un compromesso su modifiche che non implichino la rinuncia al tunnel base oppure delegare la decisione al voto del Parlamento o ancora al referendum regionale. La prima via è già stata cassata senza appello da Di Maio: le altre due equivarrebbero entrambe a un sì alla Tav.

NONOSTANTE IL MURO contro muro, tutti si sbracciano per assicurare che il governo non rischia comunque niente. Peccato che non sia vero. Quella di ieri è già stata un giornata di guerriglia su tutti i fronti, dalla defezione di decine di deputati 5S che hanno disertato il voto sulla legittima difesa sino alla sfida leghista sui no vax nelle scuole. E’ solo un assaggio di quello che succederà se i due partiti non troveranno una impossibile intesa entro venerdì. Se uno dei due non accetterà la sconfitta sarà crisi di governo ma una crisi oggi non avrebbe altro sbocco che le elezioni politiche subito, e lo stesso capo dello Stato ne è ormai consapevole. Quello che di qui a venerdì si giocano Lega e 5S non è solo la fine della Tav ma anche quella della legislatura.