L’ultimo brano, prima di tornare a casa, appena dopo le note finali dell’inno di Mameli, è We will rock you dei Queen. Poi, si ammainano i fazzoletti arancioni, si abbassano i cartelli bianco-rosso-verdi e si arrotola nel paltò la «preghiera» recitata in piazza: «Sì Tav subito». Scandita con il megafono, su un piccolo podio, da Roberta Castellina, architetto, una delle sette promotrici del flash mob, che ieri ha occupato, per meno di un’ora, piazza Castello per rilanciare la realizzazione della Torino-Lione.

E MAN MANO CHE SI SVUOTAVA il palcoscenico di un freddo sabato torinese si accavallano le cifre dei partecipanti. I sostenitori, come si sa, spesso abbondano. Erano circa 20 mila, ma la bagarre sui numeri è tediosa.

Quel che conta è la fotografia di questo pezzo di società che decanta il Tav come «il nostro futuro», ma porta i capelli bianchi o grigi, e coinvolge ben pochi giovani, che si definisce «apartitico» ma richiama in piazza buona parte dell’arco parlamentare. I nostalgici del patto del Nazareno, Forza Italia e Pd, più Fratelli d’Italia e la Lega di Matteo Salvini. Che condivide il governo con i 5 Stelle, nonostante gli attriti di questi giorni. Anche, appunto, per il Tav.

Il Carroccio non ama l’understatement e questa sfida la vuole giocare di petto. I pentastellati aspettano la pubblicazione definitiva dell’analisi costi-benefici per sbandierare i dati negativi nei confronti dell’opera. In mezzo c’è il contratto gialloverde che riporta: «Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». Non un capolavoro di chiarezza. Tanti i sindaci. Da Bergamo a Venezia, passando per Sestriere – già comune olimpico e tuttora meta rinomata per gli sciatori – accolto dall’applauso più caloroso nel corso della lettura delle adesioni. Diversi amministratori hanno infranto la «regola» di non portare la fascia tricolore. «Indossare la fascia tricolore è un simbolo, appartiene alle istituzioni» ha spiegato l’assessore alle Infrastrutture di Vicenza, Claudio Cicero (centrodestra).

Presente anche uno striscione con la scritta «La Valle di Susa che dice sì». E, poi, tanti politici: il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino («Basta alibi, il governo decida»), il governatore della Liguria Giovanni Toti («Oggi la Lega dà un segnale e Salvini ha messo le cose in chiaro»), la capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastella Gelmini («L’idea del referendum- ha aggiunto- è una fake news per prendere tempo»), Maurizio Martina, candidato a segretario del Pd («Noi diciamo sì alla Tav, allo sviluppo, al futuro. Il governo non può più fare solo propaganda, ora esca dall’ambiguità»).

E LA LEGA CON IL CAPOGRUPPO alla Camera Riccardo Molinari: «Con il M5s non c’è nessuno scontro, abbiamo trovato una sintesi su tanti argomenti, la troveremo anche su questo e se il governo decidesse di non realizzare l’opera saranno i piemontesi a decidere con un referendum».

E sull’idea di referendum, due delle sette cosiddette «madamin» Patrizia Chiazza e Roberta Castellina hanno le idee chiare: «Per la seconda volta i cittadini sono in piazza, a Torino, per ribadire il loro sì alla Tav. Questo dice molto, è già un referendum».

DA LORO SETTE È PARTITO, con l’ex sottosegretario Mino Giachino, il movimento «Sì Torino Va Avanti», che per la prima volta ha portato in piazza i sostenitori della contestata infrastruttura transfrontaliera.

«Anche oggi abbiamo avuto la dimostrazione che la Tav è chiesta non dalle consorterie di potere ma dalla gente che lavora e che produce», ha dichiarato Corrado Alberto, presidente di Api Torino, una delle organizzazioni imprenditoriali che è a dicembre è stata ricevuta a Palazzo Chigi. Il presidente di Confindustria Piemonte, Fabio Ravanelli si è rivolto al governo: «Chiediamo che rispetti gli impegni presi, i patti con la Francia e le sette analisi precedenti, perché l’ultima versione è una farsa dal momento che la commissione è composta da noti No Tav».

Il flash mob ha voluto suonare una sveglia al governo. Non una manifestazione contro l’esecutivo (gli organizzatori hanno apprezzato la partecipazione della Lega), ma a favore dello «sviluppo». Sviluppo in senso cavouriano. Come ha sottolineato con il suo gesto il presidente della Camera di Commercio di Cuneo, Ferruccio Dardanello, che prima di arrivare a Torino si è recato al castello di Santena per lasciare un messaggio sulla tomba di Cavour contro l’analisi costi-benefici: «Sono sicuro che se potesse rispondermi urlerebbe anche lui convintamente Sì Tav».

E a proposito di sveglie, «Il mondo cambia ad alta velocità: sveglia! Sì Tav subito» è stato uno degli slogan più ripetuti in una manifestazione composta e poco rumorosa, percorsa da una spruzzata di arancione (anche in versione gillet), dal tricolore e dai simboli dell’Unione europea. Due mesi dopo la prima manifestazione, più numerosa dell’ultima, il 10 novembre scorso e definita, forse un po’ frettolosamente «la nuova marcia dei 40 mila», in ricordo della batosta inflitta dai colletti bianchi al movimento operaio nel lontano 1980. Sì, la borghesia è tornata in piazza.

ECCO PERCHÉ LA FOTOGRAFIA della piazza di ieri è diametralmente opposta a quella dell’8 dicembre, quando il movimento No Tav si riversò nelle vie del centro di Torino arrivando in piazza Castello cantando Bella Ciao. Colori e umori diversi. E i No Tav, ieri, hanno commentato così l’evento dei sostenitori dell’opera: «La presenza di così tanti politici in piazza, tutti allegramente sottobraccio da Chiamparino alla Lega, passando per Forza Italia, dimostra come il tema Tav sia solo un volano per proseguire con le politiche assurde portate avanti fin qui che ci hanno dimostrato come basti un temporale per rischiare di morire nelle nostre regioni. Da parte nostra non ci spaventano certo un paio di manifestazioni di qualche ora, siamo concentrati sul prossimo appuntamento nazionale di Roma del 23 marzo per mettere la parola fine alle grandi opere inutili e imposte».