Non è che la notizia sia destinata a suscitare qualche stupore, ma Matteo Salvini ha finalmente esaminato la ponderosa analisi costi-benefici della Tav partorita dalla commissione diretta da Marco Ponti e non si è smosso di un centimetro: «L’ho letta. Non mi ha convinto». Neppure la replica del ministro pentastellato Alfonso Bonafede è di quelle che lasciano sbigottiti: «L’analisi mi ha convinto. Su quella base avvieremo il confronto». Inutile aggiungere che il tam-tam forzista e piddino resta assordante: ha un doppio obiettivo, imporre a furor di media il tunnel base e allo stesso tempo, ma forse soprattutto, mettere in difficoltà quello che per entrambi i partiti è ora il leader da battere accusandolo di essere passato in forze al «partito della decrescita».

CHE L’ANALISI in questione non bastasse a risolvere il contenzioso era del tutto prevedibile: si trattava soprattutto di un espediente per prendere tempo e rinviare quella che sin dall’inizio si sapeva essere la questione più spinosa. In realtà, per quanto riguarda i rapporti nella maggioranza, è riuscita se possibile a rendere le cose ancora più difficili, essendosi lo scontro trasferito anche sul piano della credibilità e affidabilità non solo di quel documento ma in generale dei tecnici arruolati nelle opposte fazioni. Ieri, come annunciato sin dalla presentazione dell’analisi, l’Osservatorio guidato da Paolo Foietta, il cui mandato è scaduto ieri senza essere né rinnovato né ufficialmente chiuso, ha presentato la sua «lettura critica» sul testo di Ponti. Foietta va giù durissimo: «Il documento è omertoso. Si fatica a capire di cosa si tratti, è di una debolezza sconcertante. Ormai è un gioco a chi la spara più grossa».

In quella che dovrebbe essere l’ultima relazione dell’Osservatorio, il Quaderno 13, sono 10 i punti critici individuati nell’analisi del gruppo guidato da Ponti. Il principale è l’aver inserito tra i costi le minori accise sui carburanti e i minori incassi dalle autostrade: «Con questo metodo qualsiasi investimento ferroviario sarà sempre negativo». In secondo luogo il tenere conto del costo complessivo dell’opera ma non dei finanziamenti europei che secondo Foietta coprirebbero il 40-50% del totale. Nello scontro persino la Ue è tirata da entrambi per la giacca: se la commissione insiste per il proseguimento dei lavori, i 5S ricordano infatti anche la corte dei conti europei aveva bocciato l’opera come diseconomica.

ALLA FINE, RIPETONO entrambi i soci ed è la sola cosa su cui siano d’accordo, la decisione sarà politica. Il problema è che una soluzione politica e non contabile si basa per definizione sulla mediazione. La disfida sui conti, combattuta a colpi di accuse reciproche sul voler «buttare via miliardi», ostacola invece di agevolare quella mediazione. Una volta attestatisi su posizioni per cui proseguire con la Tav sarebbe un enorme spreco per gli uni e cancellarla sarebbe un danno altrettanto immenso per gli altri, entrambe le fazioni assicurando di parlare su basi tecniche, per la mediazione non resta nessuno spazio. La decisione politica resta dunque affidata tutta e solo ai rapporti di forza.

IN QUESTO VICOLO CIECO la Lega ha tutto l’interesse nel rinviare sino a quando i rapporti di forza a suo favore non saranno certificati dal responso delle urne. L’esito delle elezioni del 24 in Sardegna, se le cose andranno come previsto, e cioè con i 5 Stelle in situazioni simili o peggiori a quelle dell’Abruzzo, peserà. La sfida europea deciderà e in caso di vittoria molto netta la Lega si prepara a reclamare alcuni ministeri chiave, in particolare Sanità e Trasporti, e a far valere l’incoronazione popolare per imporre, se non la resa aperta, almeno quella mascherata: il referendum.

Del resto è la stessa strategia che i 5S considerano con sempre maggior interesse per il voto nella giunta sulle immunità: un referendum sul blog che sono convinti salverebbe il leghista e il governo ma con la copertura della «democrazia diretta».