Sergio Foà, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, ha recentemente redatto un rapporto giuridico ove descriveva i possibili scenari in caso di mancato avvio dei lavori relativi alla fase definitiva del Progetto Torino-Lione, ossia lo scavo del tunnel di base di 57,5 km.

Professore, come valuta la relazione giuridica pubblicata dal ministero delle Infrastrutture?

La relazione tecnico giuridica lascia molti dubbi, soprattutto nelle considerazioni conclusive. I dubbi riguardano i rapporti con la Commissione Europea e con la Francia: con la prima è da chiarire in che misura, in caso di recesso o di comune accordo, possano essere avanzate delle richieste di penali. La relazione su questo punto non è per nulla precisa perché non tiene conto che la Commissione Europea non può vincolare gli Stati nell’utilizzo delle risorse. Per quanto riguarda la Francia, gli accordi tra Italia e Francia non prevedono automaticamente penali a fronte dell’interruzione dei lavori. Nella relazione si ipotizza che l’interruzione dei lavori in Francia possa integrare un fatto illecito e ciò alimenta possibili richieste risarcitorie in danno dell’Italia, mentre il Codice francese contempla ipotesi di «opera senza seguito» per motivi di interesse pubblico e in tal caso non vi sarebbero i presupposti per un risarcimento. Inoltre, il risarcimento del danno presupporrebbe dolo o colpa nell’interruzione dei lavori: il che è tutto da dimostrare.

In quale caso si va verso il risarcimento?

Sarà necessario dimostrare un inadempimento degli obblighi assunti. Al massimo l’Unione Europea potrà richiedere la restituzione del finanziamento per la parte non utilizzata. Ma non si tiene conto degli accordi italo francesi che prevedono che l’avvio di ogni fase dei lavori richieda la copertura finanziaria da parte degli Stati per le opere di rispettiva competenza.

Cosa potrebbe accadere in realtà?

L’Italia potrebbe accordarsi con la Francia per rinunciare alla prosecuzione dell’opera. Ciò comporterebbe una restituzione del finanziamento nella parte non utilizzata o la possibilità di rinegoziare con l’Unione Europea l’utilizzo dei finanziamenti concessi. Secondo scenario: l’Italia recede unilateralmente. Il dubbio è inerente al possibile risarcimento nei confronti della Francia, che potrebbe vantare pretese risarcitorie per le opere già realizzate sul suo territorio, salvo poterne dimostrare una diversa destinazione. La Francia però ha un istituto giuridico che consente di dichiarare procedure d’appalto senza seguito. L’avvocato che ha redatto la valutazione giuridica richiama questa disciplina ma sospetta che, nel nostro caso, si possa trattare di un fatto illecito.

Penali verso le imprese appaltatrici?

Noi abbiamo in Italia una normativa, pensata apposta per evitare pretese risarcitorie, che prevede la rinuncia dell’aggiudicatario dell’appalto a qualunque pretesa anche futura concessa a eventuali o mancati finanziamenti dell’opera. L’idea scritta nella Legge del 2009 era di prevenire eventuali contenziosi dovuti a mancanza di finanziamento. In opere come il Tav, che sono costituite da molti lotti, la legge prevede che, fin dall’avvio dei lavori, vi debba essere una copertura finanziaria dell’intera opera e quindi di tutti i lotti.

Questo finanziamento c’è?

La delibera del Cipe in Italia, che ha autorizzato i lotti costruttivi, dimostra che, per i lotti successivi al secondo, non esiste attualmente una copertura finanziaria, ma soltanto un «impegno programmatico». Risulta parimenti che in Francia non vi sia la integrale copertura per la parte di competenza. Questo viola l’articolo 16 dell’accordo del 2012, che invece prevede che per l’avvio di ogni fase dei lavori vi sia la totale disponibilità finanziaria.

Ci sarebbero ingenti fondi europei perduti.

Il finanziamento dell’Unione Europea può essere rinegoziato: dipende dalla valutazione che farà la Commissione. Nel caso in cui non riscontri un inadempimento doloso o colposo, per carenza di sostenibilità economico-sociale, come peraltro risulta dall’analisi costi – benefici, l’Ue può concedere diverse modalità di utilizzo dei finanziamenti.

Perché la valutazione giuridica è così negativa?

Di sicuro c’è una grande confusione che può essere alimentata forzosamente: la disciplina europea in materia di finanziamenti lascia agli Stati la scelta finale sulla sostenibilità delle opere e sulle modalità di realizzazione .