Perseverante come il diavolo, basta che la parola «referendum» venga solo pronunciata e il Pd si caccia nei guai. Stavolta si tratta della fantomatica consultazione sul Tav, evocata all’inizio dal presidente del Piemonte Chiamparino, considerata «prematura» dal premier Conte ma agitata da Matteo Salvini in attesa che la relazione dei tecnici dei Trasporti emetta la sentenza di vita o di morte sulla Torino-Lione (ma c’è chi giura che sul documento ci sia scritta una terza via).
Chiamparino, ricandidato alla regione, vuol fare del Sì Tav il cuore della campagna per la rielezione. A prima vista la scelta ha un suo perché: il tema da giorni fa litigare la maggioranza e in Piemonte scava contraddizioni fra Lega e Forza Italia, vittoriosi nonostante tutto: i sondaggi danno il centrodestra fra il 46 e il 49 per cento, con la Lega al 35.

Chiamparino dunque attacca i gialloverdi: «Smettano di fare i furbastri e di allungare il brodo per arrivare alle europee senza decisioni, gli uni adducendo nuovi approfondimenti su un’analisi costi-benefici di cui possiedono i dati e Salvini attaccandosi a ipotetici referendum che, nella sua ipotesi, sono irrealizzabili», tuona, «Ci dicano se intendono stracciare il contratto di governo e quindi dare il via libera alla Tav, o se vogliono rispettarlo, bloccandola. A quel punto sapremo come far sentire la voce dei piemontesi». Ma a girare il coltello nella piaga altrui Chiamparino rischia di farsi male da solo. Basta ascoltare Marco Grimaldi, capogruppo Leu alla regione e segretario di Sinistra italiana, non ostile all’accordo con il Pd, almeno in teoria. «Ho sempre detto che non avrei voluto regalare alla Lega l’ultima regione del Nord e penso che ogni progressista dovrebbe fare di tutto per fermare l’onda nera. Ma la condivisone della piazza con i propri avversari e con la bandiera logora della grande opera non è una buona premessa», dice riferendosi alle due manifestazioni Sì Tav. L’ultimo «all in» sulla Torino-Lione era più imbarazzante del solito. Si scoprono ecologisti che difendono la Tav ma si oppongono alla fine dell’era fossile, con il paradosso di essere contemporaneamente contro le zone a traffico limitato perché «danneggerebbero il commercio». Rappresentano i due terzi del Pil? E allora perché non finanziano loro l’opera di cui pare abbiano un vitale bisogno, visto che a passare da trasporto su gomma a trasporto su rotaie sarebbero le loro merci?».

Grimaldi non calca la mano. Ma è chiaro che sulla battaglia pro Tav il Pd ha alleati nel campo avversario e avversari nel proprio. Il risultato non è solo che il centrosinistra piemontese rischia di saltare. Il punto vero è la partita nazionale, di profilo e prospettiva del Pd: quella di rinunciare a lavorare sull’elettorato 5 stelle deluso che non si vuole buttare nelle braccia di Salvini. Non è un caso che il presidente del Lazio Zingaretti, candidato alle primarie e teorico del dialogo con gli elettori grillini, si sia tenuto alla larga dalla polemica attestandosi su un generico sì alla Torino-Lione e alle «possibilità di sviluppo di questo Paese».

Ma Zingaretti non è in parlamento, dove i dem hanno già iniziato la guerra santa e depositato in senato una mozione pro Tav. «Premesso che sono migliaia i cittadini piemontesi, amministratori, sindaci, esponenti politici di tutta Italia che chiedono il completamento e la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino – Lione», dice il testo sorvolando sulle migliaia che chiedono l’opposto, «impegna il Governo a procedere in tempi brevi alla prosecuzione dei lavori della nuova linea ferroviaria Torino – Lione sbloccando gli appalti in capo a Telt». Ieri sulla Stampa l’ex premier Gentiloni ha sfidato Salvini: «Per confermare la Tav in Parlamento c’è un’ampia maggioranza, grazie ai voti del Pd, di Forza Italia, della Lega e di altri».

Qualcuno cercava il ‘disgelo’ con l’elettorato 5 stelle? Sarà per un’altra volta. Per scongiurarlo, dovesse mai il Pd guadagnare un voto (proprio mentre i dati della partecipazione ai congressi dei circoli sono sconfortanti), scende in campo lo specialista Renzi: «All’improvviso M5S, che era per la democrazia diretta, non vuole più il referendum perché vuole che decida tutto Toninelli», scrive nell’ultima enews. «Vediamo in Parlamento se la Tav ha i numeri oppure no. Ne vedremo delle belle».