Domenica Pietro Grasso (Liberi e Uguali) ha proposto l’abolizione delle tasse universitarie. Non era meglio iniziare dal bersaglio grosso: rifinanziare i tagli di dieci miliardi di euro a scuola e università fatti da Berlusconi tra il 2008 e il 2011 e mai più recuperati?
La proposta di Liberi e Uguali – risponde Claudia Pratelli, responsabile scuola di Sinistra Italiana, che ha lavorato sulla proposta di università gratuita – tiene insieme entrambe le esigenze. Pensiamo a una strategia coordinata composta da più elementi: un poderoso rifinanziamento del fondo per gli atenei, un piano di reclutamento per ricercatori e professori, un robusto intervento sul diritto allo studio che permetta di raddoppiare il numero dei beneficiari delle borse di studio, portandoci a livelli più simili di altri paesi europei. In Francia il 39% degli studenti le riceve, in Germania il 25%. In Italia il 9 per cento. L’insieme di queste proposte sono incompatibili con le politiche di tagli fatte negli ultimi dieci anni contro la scuola e l’università.

Quindi non solo 1,7 miliardi, tanto costerebbe la vostra proposta, ma anche tutti gli altri sottratti all’istruzione?
Certo. Intervenire su tutta l’istruzione pubblica significa immaginare investimenti molto diversi da quelli a cui siamo abituati, recuperare i tagli e avvicinarci agli altri paesi europei che negli di crisi hanno invece investito sull’istruzione, come è successo in Germania.

Ha scritto che l’università pubblica, gratuita e di massa è una delle richieste storiche della sinistra. Parla anche dei movimenti studenteschi?
Sì. La battaglia per l’università gratuita e a favore di un welfare universalistico ha attraversato la storia del Novecento ed è stata al centro delle loro rivendicazioni almeno dalla Pantera nel 1989-90 in poi. Queste proposte sono avanzate da molte associazioni studentesche anche oggi.

Da sinistra sono stati in molti ad attaccarvi. Qualcuno ha definito il taglio delle tasse universitarie come una trovata populista. Cosa risponde?
Rispondo che è una proposta popolare. È risponde alle necessità di chi, stritolato dalla crisi economica, ha difficoltà ad accedere all’università per i costi elevati, 1400 euro medie annuali più tutte le spese collaterali per mantenersi agli studi.

L’altra obiezione è che i poveri pagheranno le tasse universitarie ai ricchi. È vero?
No, è il contrario. I ricchi pagheranno due volte perché se hanno figli e se vanno all’università pubblica contribuiranno oltre che con la fiscalità generale, anche attraverso la tassa regionale per il diritto allo studio.

Non è già così?
Non esattamente. Ad oggi vale la logica, sia pure con soglie di esenzione, che l’università se la pagano quelli che ci vanno, almeno in quota parte. Noi pensiamo invece che è un diritto fondamentale e universale e in quanto tale vada finanziato dalla fiscalità generale. In questo sistema i ricchi pagano molto di più.

Cosa significa?
Quelle che chiamiamo tasse universitarie sono «contributi» studenteschi. Una forma di compartecipazione sempre più onerosa al costo del servizio da parte di chi lo fruisce. Noi invece pensiamo che quando si parla di diritti fondamentali non devono pagare coloro che ne usufruiscono, ma tutta la collettività attraverso la fiscalità generale. L’aumento del livello di istruzione della popolazione produce un beneficio collettivo.

Il Pd sostiene che esiste una no tax area e che i «poveri non pagano». Non è sufficiente questo?
No, perché parliamo di una no tax area che arriva a 13 mila euro. L’università e l’istruzione pubblica devono essere accessibili a tutti.

Il taglio delle tasse universitarie presuppone una riforma di tutta la fiscalità italiana?
Sono strettamente intrecciate. Occorre caricare sulla fiscalità la garanzia dei diritti fondamentali in un sistema fortemente progressivo incardinato sul principio che chi ha di più deve pagare di più. Lo afferma la Costituzione.

Cosa propone LeU su un argomento decisivo per la vita dell’università: la valutazione? L’Anvur, l’agenzia della valutazione, va abolita?
Nella conferenza programmatica di LeU del 16 dicembre l’Anvur è stata al centro della discussione. È uscita una critica durissima ed è stata proposta la sua abolizione o un ripensamento dalle fondamenta del mandato assegnatogli dalla legge Gelmini, dei criteri e della funzione della valutazione.