La sceneggiata post-elettorale della Lega sulla riforma del catasto dal 2026 è solo l’antipasto che aspetta il governo di tutti, o quasi, che vuole riformare il fisco con le ricette opposte della destra e della sinistra. La prossima potrebbe avvenire, compatibilmente con il calendario elettorale o con l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale, quando si discuterà il decreto delegato sulla rimodulazione dell’Iva.

Sono anni che si vocifera su una possibile semplificazione delle aliquote dell’Iva (al 4%, al 5% e al 10%), con una riduzione di quella ordinaria del 22%. Anche questa richiesta dalla Commissione Europea e da sempre respinta da tutti i governi di ogni colore poiché, si presume, potrebbe vedere l’aumento delle altre che interessano i beni alimentari, quelli strumentali oppure i servizi e altre merci. Ogni percentuale tocca il bacino elettorale di chi, sia a destra che a sinistra, dice di rappresentare «sia il lavoro che l’impresa». Oltre all’interclassismo della politica neoliberale in questo caso è in ballo la ripresa basata sui consumi interni, già soggetta alla fiammata inflazionistica post-covid.

Un altro scoglio, tra i tanti, della legge delega più discussa degli ultimi anni è quello delle cosiddette «agevolazioni fiscali». Una giungla di esenzioni cresciuta nel tempo e usata spesso in maniera impropria come una forma integrativa di un Welfare disfunzionale, classista e discriminatorio. Ogni spostamento in questa cristalleria che contiene un patto sociale ingiusto potrebbe portare alla protesta di questa o un’altra categoria in una società di cittadini proprietari, imprenditori di se stessi, pagatori di tasse che votano con il portafoglio. Va ricordato che, davanti a questo moloch, anche i custodi del neoliberalismo europeo si sono fermati nella scorsa crisi. Si vedrà se, al nuovo giro, il governo «senza formula politica» riuscirà a realizzare una riforma che tocca quasi tutti i nodi della tassazione, riuscendo a mettere d’accordo gli opposti come richiede il suo utopismo di fondo costruito su uno stato di emergenza continuo. Basterà l’imposizione delle mani di Draghi per cambiare gli interessi delle categorie tra tre o cinque anni?

Mentre la Lega faceva retromarcia sulla crisi di governo (ce ne saranno altre simulate nei prossimi mesi), ieri dal ministero dell’Economia il ministro Daniele Franco e la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra (Leu) hanno ribadito l’impostazione per ora neutrale della riforma del catasto e hanno ribadito gli scopi di quella generale: non ci sarà un aumento delle tasse, ma la redistribuzione del loro peso. Sul catasto la delega fiscale prevede «un esercizio di mappatura che sarà reso disponibile nel 2026, non ha alcun effetto immediato. Nel 2026, poi, sarà utilizzato da chi vorrà utilizzarlo, ma adesso è per capire lo stato del nostro patrimonio immobiliare» ha detto Franco. L’idea del governo, ha aggiunto Guerra, «non è quella di aumentare» le imposte ma «distribuire il peso, che è rilevante, in modo equo. Non ha senso che una persona che ha un immobile che ha perso di valore, per mille ragioni, tra cui lo spopolamento delle aree interne, si trovi a pagare di più di una persona che è avvantaggiata», perché vive in un centro urbano qualificato e con servizi adeguati. L’imposta sul patrimonio «o la eliminiamo, e poi vediamo che altre imposte mettere, o la teniamo sulle seconde e terze case, ma la facciamo in modo sensato». Le imposte devono essere «eque, come dice la nostra Costituzione, rispondere alla capacità contributiva. La maggioranza pagherebbe meno, quelli che hanno un patrimonio di grande valore si troverebbero a pagare un pochino di più. E mi sembra anche giusto».

Non è escluso che, in un tempo futuribile, il governo di turno potrà aumentare le tasse sul mattone in maniera pur sempre risicata, all’interno delle compatibilità esistenti. Ma è bastato questo per riaccendere ieri i «moderati» di Forza Italia, alfieri anche loro del draghismo: tra «sei anni spetterà al centrodestra impedire il nuovo assalto della sinistra alla ricchezza privata degli italiani» ha detto Luca Squeri (Forza Italia). Le destre considerano un «salasso» ciò che Guerra definisce un «intervento molto modesto». Magia delle iperboli in una politica sospesa fino al 2026. E forse anche oltre.