Ius soli, dote ai diciottenni finanziata con la tassa di successione per i ricchi, norme sugli appalti. Dopo giorni di bufera, di accuse esterne (il Giornale parla addirittura di «assedio dei comunisti») e anche interne al Pd sulla svolta a sinistra, Enrico Letta se ne infischia.

E insiste, nonostante il gelo del ministro dell’Economia Daniele Franco, dopo quello di Draghi: «Le polemiche sulla dote dimostrano che una parte di questo Paese ama vivere di rendita, che per qualcuno la rendita prevale sul lavoro e la fatica. Invece nella nostra idea di fisco deve essere premiato chi lavora».

L’ex ministro Roberto Gualtieri (ora candidato alle primarie per il sindaco di Roma) lo spalleggia: «La polemica sulla proposta di Letta dimostra l’arretratezza in cui si trova questo Paese. Si tratta di una proposta moderata, non uno scandalo».

LETTA INSISTE ANCHE su un altro tema scomodo, la cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia: «Avremmo dovuto farlo almeno 10 o 20 anni fa, come capita in gran parte dei Paesi europei», ha detto a una iniziativa delle Acli. «Bisogna che questo tema sia definitivamente separato da quello degli sbarchi, faremo tutto il possibile, dobbiamo costruire un fronte largo: in questa legislatura ci proviamo e, se non ci riusciremo, allora nella prossima, perché sono realista».

IN ATTESA CHE IL LEADER dem veda Mario Draghi (l’incontro è in agenda per questa settimana), tra gli ex renziani del Pd riuniti in Base riformista cova qualche perplessità sulla svolta a sinistra. Il timore principale è che il Pd si allontani dall’agenda Draghi, lasciando campo libero a Salvini. Lo stesso schema del 2012 quando la destra del Pd rimproverava a Bersani di non essere abbastanza montiano.

E COSÌ LA CORRENTE è al lavoro sul «manifesto dei riformisti», che sarà presentato il 9 giugno e conterrà le ricette liberal per il partito e il governo. La stesura è stata affidata ad Andrea Romano, che ha il compito di cucire i contributi inviati dalla cinquantina di parlamentari dell’area guidata da Lotti e Guerini. «Vuole essere un contributo propositivo e costruttivo», spiegano fonti di Base riformista che negano la richiesta di una «correzione di linea».

Ai primi di luglio il manifesto sarà discusso in una giornata di incontri con esponenti dell’impresa e del volontariato. Una sorta di stati generali degli ex renziani, che però non lanciano proclami di guerra contro il neosegretario (votato anche da loro meno di tre mesi fa). «Vogliamo dare una mano a Letta con la forza dei nostri argomenti», dice Romano.

«Con Letta stiamo collaborando bene», confida al manifesto Alessandro Alfieri. Aggiunge Alessia Morani: «Da qualche parte ho letto che sarei contraria alla tassa di successione e alle proposte di Orlando sui licenziamenti. È assolutamente falso, penso che il Pd faccia bene a difendere i lavoratori e a fare proposte sulla redistribuzione».

PD PIÙ UNITO CHE MAI? In realtà dentro l’area ex renziana ci sono dei movimenti in corso, resi più chiari dalla proposta sulla tassa di successione. Se l’ex capogruppo Andrea Marcucci ha detto un chiaro no (in sintonia con Lotti), altri come Alfieri, il sindaco di Firenze Nardella e la nuova capogruppo in Senato Simona Malpezzi si sono schierati col segretario.

«Credo che Enrico sia l’ultima occasione che ci rimane», ha detto Nardella. «Se fallisce lui fallisce il Pd, e non ce lo possiamo permettere. Quindi va sostenuto». Mentre Renzi parla di «masochismo» del Pd sulle tasse, il suo successore lo striglia: «L’Italia ha le tasse più basse sui grandi capitali delle cosiddette rendite parassitarie». Guerini si guarda bene dall’aprire polemiche col Nazareno. E del resto nel Pd è sempre più chiaro che, sia che si voti nel 2023 sia prima, le liste le farà Letta. Dunque per gli oppositori interni è meglio abbassare le armi.