Secondo le stime ISTAT preliminari diffuse il 4 marzo scorso, nel 2020 le persone in condizione di povertà assoluta sono aumentate di un milione (raggiungendo i 5,6 milioni, dal 7,7% al 9,4% della popolazione). E non è una stima particolarmente pessimista, visto che Unimpresa valuta gli italiani a rischio povertà nel novero di 10,4 milioni: 1,2 più rispetto al 2015.

Non si tratta di un caso isolato, com’è possibile immaginare : la Banca Mondiale ha rivisto a gennaio scorso le statistiche sull’aumento di poveri assoluti nel 2020 da 88-115 miliani aggiuntivi a 119-24 milioni. Un aumento inedito dalla creazione di queste statistiche. L’aumento della povertà assoluta è solo una delle conseguenze sociali della recessione con caduta dei redditi e delle ore lavorate, disoccupazione galoppante, diminuzione di domanda e di offerta, crisi delle filiere globali.

A fronte di ciò si registra una stringente necessità da parte dei governi a reperire risorse per sostenere i costi sociali ed evitare sommovimenti popolari di cui le proteste attuali potrebbero essere solo una pallida avvisaglia. Dove trovare i soldi, visto la caduta dei redditi nazionali – che quindi comporta minor prelievo fiscale ?
Da marzo si registra una avanzata verso l’impensabile : dogmi e tabù prima impronunciabili arrivano alla bocca dei più blasonati rappresentanti del mainstream come Draghi.

Ad aprile si registra un altro passo in questa direzione : tassare i ricchi. Ai primi del mese è stato presentato dal presidente Biden il suo Tax Plan, che pare segnare un cambio di passo: tassare più duramente le multinazionali e contrastare la elusione fiscale per creare politiche di sviluppo ; riequilibrare la tassazione in senso più favorevole al lavoro rispetto ai profitti. In particolare mentre Trump aveva abbassato le aliquote per le aziende al 21%, la nuova amministrazione le vuole riportare al 28% – al di là delle somme sottratte al fisco via elusione.

A suggellare la nuova temperie di equità fiscale è addirittura il Fondo monetario internazionale, alfiere della ortodossia finanziaria globale che in uno dei suoi rapporti più importanti, il Fiscal Monitor che in un passaggio afferma che «Per rispondere alle necessità finanziarie legate alla pandemia, i decisori politici potrebbero considerare un contributo temporaneo per la ripresa imposto sugli alti redditi o patrimoni. Per trovare le risorse necessarie a migliorare l’accesso ai servizi di base e le reti di sicurezza sociale, nonché per rinvigorire gli sforzi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, riforme del sistema fiscale sono indispensabili sul piano nazionale e internazionale».

Va dato il giusto peso a tali « conversioni ». Da un lato va riconosciuto che una parte dell’establishment ha la lucidità necessaria ad andare oltre gli stessi dogmi proposti come indiscutibili per omnia sæcula sæculorum fino a pochi anni fa.

Ma intanto va visto il limite temporale : lo stesso passo del Fondo Monetario internazionale allude a un contributo temporaneo; in ogni caso si può supporre che una fiscalità più redistributiva sia unicamente funzionale a sorreggere la tenuta del sistema, per tornare sui suoi passi appena è passata la tempesta, visto che il ruolo più incisivo delle autorità statali nella crisi del 2007-08 è durato appena lo stretto necessario per stabilizzare la situazione. In secondo luogo una fiscalità più redistributiva non basta.

Se l’architettura dei rapporti economici attuali resta indiscussa il cambio delle politiche di tassazione può risolversi in un piccolo drenaggio di risorse per sostenere un sistema che, forse in modo meno manifestamente iniquo, sarà sempre diretto più dalla governance di mercato che da una politica democratica incline agli interessi dei lavoratori. Questo rimane ancora un tabù.