È più stolto -parafrasando il Kant della Critica della Ragion Pura- chi prova a mungere il maschio della capra o chi – acriticamente – mette sotto di esso un setaccio aspettando che dalla tentata mungitura esca del latte che comunque non potrebbe trattenere anche se miracolosamente uscisse?
Il problema è che spesso i nostri giudizi sono in realtà pregiudizi e quando dobbiamo affrontare un tema, magari spinoso e controverso come quello delle tasse, è più facile rifugiarsi tra le braccia accoglienti e comode del pregiudizio. In questo modo si apre il campo un’economia di svantaggio nell’analisi.

È CURIOSO: SI DISCUTE continuamente dei problemi più importanti, dalla catastrofe climatica alle migrazioni, ma per infiammare veramente gli animi, bisogna proporre delle tasse. Anche se sono assolutamente minime e di scopo, sembra che conti solo il principio elettorale per cui il mantra dev’essere tasse down.

L’essere guidati dalla dittatura del consenso immediato – che non calcola gli effetti a medio e lungo termine- e dall’ingordigia pantagruelica dei sondaggi quotidiani, che costruiscono il vero e ormai unico skyline dell’opinione pubblica, provoca purtroppo visioni centimetriche e distorsioni elefantiache.

È DUNQUE BASTATO CHE il Ministro del Miur Lorenzo Fioramonti proponesse una tassa di cinque centesimi sulle bibite zuccherate, le merendine e di un euro sui biglietti aerei, al fine di migliorare la condizione economicamente disastrata dell’istruzione, per scatenare un fuoco di sbarramento: non solo dall’opposizione di destra e da miccia amica, ma anche sui media.

Quello che colpisce in questa occasione è soprattutto l’estrema ipocrisia manifestata e l’evidenza esibita di un pensiero -spesso- senza diottrie.

Di pancia (parte del corpo oggi eccessivamente sopravvalutata), anche se una persona comprasse ogni giorno tre bevande e tre merendine, sarebbero 30 centesimi al giorno. Nove euro al mese. Si dice, inoltre, che saremo tutti penalizzati perché spostarsi in aereo costerà di più. Ma qualcuno rinuncerebbe veramente a un viaggio perché gli costerebbe uno o due euro in più? E se questo conta davvero tanto, perché nessuno protesta con la stessa veemenza per quel gioco d’azzardo che è -molto spesso- una tariffa aerea?

NON SI PERDA DI VISTA che le compagnie aeree, anche e soprattutto le cosiddette low cost hanno tariffe a fisarmonica, che si scostano -una dall’altra- anche di centinaia di euro, guidate da algoritmi che certamente non fanno certamente il bene del viaggiatore: e, per questo motivo, sarebbe meglio -qualche volta- chiamarle compagnie bad cost. D’altronde, chi obbliga le compagnie aeree e i grandi marchi dei produttori di bevande zuccherate a scaricare questo eventuale micro aumento dei prezzi sui consumatori? Non potrebbero una volta tanto pagare meno dividendo agli azionisti, o meno stipendi e buonuscite ai manager? Non amano queste imprese mettere sempre in buona mostra la loro “responsabilità sociale”? Lo debbono fare solo quando al contempo possono farsi pubblicità mettendoci il loro logo senza rischiare i propri utili?

È IPOCRISIA, O SIMULAZIONE perfetta, anche perché nessuno più si scandalizza per le tasse molto più elevate sul tabacco e sull’alcool, senza dimenticare il carburante o giochi come il gratta e (in ogni caso) paga che producono entrate nelle casse dello stato. Eppure con queste tasse la collettività ci guadagna in ogni caso: o i consumatori rinunciano ai loro vizi, e allora va bene perché migliorano la loro condizione generale, oppure non ci rinunciano e allora contribuiscono al benessere comune con il loro vizio. Bisogna, forse, abolire anche la tassa sul tabacco e sugli alcolici in nome della libertà del consumatore che, in quanto tale, ha forse perso da tempo lo status di cittadino? Ma l’ipocrisia più grande è di oscurare la questione centrale: che cosa si vuole finanziare con il gettito sperato? La tassa di scopo proposta non è partita dal desiderio (che si potrebbe comunque giustificare) di “punire” dei comportamenti considerati malsani per sé o per gli altri, ma dall’intento di rimediare a uno dei fatti più scandalosi, ma anche più raramente evocati della nostra società: l’Italia -e non è di certo uno scoop- è tra i paesi del mondo che spendono meno per l’istruzione. La quota del Prodotto interno lordo consacratovi (3,6%) è ben sotto la media dei paesi più industrializzati.

GLI INSEGNANTI ITALIANI, e il personale amministrativo delle scuole di ogni ordine e grado, sono tra i meno pagati in Europa. Le strutture spesso sono fatiscenti e le attrezzature obsolete. Certo, si potrebbe anche tagliare sul budget della difesa per aumentare quello dell’educazione, o rinunciare alle «grandi opere inutili». Ma in mancanza di una volontà politica in questo senso, una tassa sulle merendine, che contribuiscono a creare bambini obesi o una tassa micro sui voli, sono misure ampiamente condivisibili: purché tale tassa di scopo non vada a finire nel mare magnum del gettito nazionale, ma sia tracciata a tracciabile nei suoi risultati. E poi, lo zucchero è un obiettivo nodale sotto diversi profili. L’antropologo Sidney W. Mintz, nel suo Storia dello zucchero. Tra politica e cultura, affascinante classico sul tema, aveva già analizzato le vicissitudini dello zucchero anche con un certo spirito aspro.

SONO NOTI A TUTTI i mutamenti che lo zucchero ha indotto nelle abitudini sociali e il picco glicemico di trasformazione dei consumi. Fino alla fine del Medioevo, gli europei ne facevano a meno (il miele bastava come dolcificante), e fino al Settecento era un raro lusso. In compenso, lo zucchero è stata la rovina dell’Africa: gli schiavi «importati» in America servivano soprattutto al lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero.

OGGI, NON C’È NIENTE DI COSÌ impervio nel concepire un contributo che tira una linea dritta verso uno scopo monografico per risanare e far ripartire -magari con inedito slancio- quell’esperienza -obbligatoria fino a una certa età – che accomuna tutti gli esseri umani: imparare. Non a caso è già tassato in circa 40 paesi (Norvegia, Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Irlanda, Messico, dove l’esperienza è stata considerata particolarmente fruttuosa, etc..) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di farlo in quanto sostiene che oltre a ridurre il consumo degli zuccheri aiuta i sistemi sanitari nazionali a risparmiare.

CERTO, QUALCUNO potrebbe chiedere qual’è il rapporto tra tassa sulle merendine e sul trasporto aereo con la finalità perseguita di investire nell’Istruzione. E’ ovvio che non vi è alcun rapporto diretto o consequenziale; vi è solo un patto di scopo dichiarato e sincero: una proposta senza infingimenti e senza retropensieri, cosa rara nei discorsi dei politici. Ecco perché fa discutere, provocando critiche feroci o persino ilarità. Quando i motivi per non ridere, invece, sono conosciuti da centinaia di migliaia di persone che si occupano di un settore, quello dell’istruzione, non solo strategico ma fondante e strutturale per il futuro prossimo della nostra società.

CERTO, UNA TASSA SUI discorsi stupidi creerebbe senza dubbio un gettito maggiore, ma la sua applicazione darebbe probabilmente adito a controversie. Lo zucchero ha migliore stampa del tabacco, o dell’alcool, ma i suoi effetti negativi, complessivamente, sono forse ancora maggiori. I promotori delle bibite zuccherate temono moltissimo questo contributo: a San Francisco hanno speso nel 2016 venti milioni di dollari per influenzare un referendum locale sulla introduzione di una tassa di un centesimo per ogni oncia (circa trenta grammi) di bibita. Non è un motivo in più per caldeggiare questa misura? E soprattutto si tratta di ipocrisia quando non si dice apertamente quello che si pensa: che le spese per l’istruzione sono inutili, perché tanto nella vita si avanti con ben altre vie e con migliori mezzi. E che abbuffarsi di merendine e dolcissime bibite gassate è la vera felicità che nessuno deve disturbare.