Non sono giorni facili per Taranto. Stretta tra il primo caso di coronavirus, anche se ieri sera sono stati confermati altri due casi positivi al virus di parenti del paziente zero, e l’accordo tra ArcelorMittal, governo e commissari straordinari per far cessare la controversia giudiziaria in corso a Milano, la città viene scossa dall’ordinanza firmata ieri dal sindaco Melucci nei confronti di ArcelorMittal e Ilva in amministrazione straordinaria, alle quali ha chiesto di individuare gli impianti interessati dai fenomeni emissivi registrati ultimamente «eliminando gli eventuali elementi di criticità e le relative anomalie entro 30 giorni».

IL PRIMO CITTADINO nella sua ordinanza cita due casi in particolare: il primo risalente allo scorso agosto, quando si verificarono delle anomalie in merito alle emissioni del camino E-312, che lavora per l’impianto agglomerato, tra i più inquinanti del siderurgico, quello per intenderci da cui non dovrebbe uscire la temibile diossina. Per l’impianto in questione sono stati previsti dei lavori per l’installazione dei filtri a manica, di cui è stata chiesta un’accelerazione all’azienda. Nel caso delle emissioni di agosto però, il ministero dell’Ambiente significò che i superamenti dei limiti di emissioni di alcuni valori orario non costituivano violazione dell’Autorizzazione integrata ambientale.

Il secondo caso è invece più recente, e riguarda i fenomeni verificatisi tra il 20 e il 24 febbraio, in cui ci sono stati anche due giornate di forte vento (qui a Taranto i famigerati wind day), dove due centraline hanno rilevato soprattutto di notte valori elevatissimi di biossido di zolfo e anidride solforosa. L’Arpa Puglia ha sin da subito iniziato gli approfondimenti del caso, in stretto contatto con l’Ispra, per venire a capo della fonte emissiva che secondo le prime ipotesi deriverebbero in gran parte dal siderurgico, nonostante nelle immediate vicinanze ci sia la raffineria Eni (spesso protagonista di emissioni simili).

STANTE LA SITUAZIONE ATTUALE, nel caso non si risolvano le criticità nei tempi indicati, il sindaco Melucci ha ordinato ad ArcelorMittal ed Ilva in As, ciascuna per sua competenza e responsabilità, «di avviare e portare a completamento, nei tempi tecnici strettamente necessari a garantirne la sicurezza, e comunque non oltre 60 giorni dal presente provvedimento, le procedure di fermata dei seguenti impianti: altiforni, cokerie, agglomerazione, acciaierie»: in pratica l’intera area a caldo. Chiedendo inoltre «di procedere, laddove necessario per finalità legate a ragioni di sicurezza, alla sospensione/fermata delle attività inerenti gli impianti funzionalmente connessi agli impianti di cui sopra».

Eventuali richieste «di proroga dei termini innanzi stabiliti – avverte il sindaco – potranno essere legate esclusivamente a ragioni di natura tecnico/impiantistica e di sicurezza nell’esecuzione delle procedure di fermata». L’ordinanza è stata trasmessa anche a ministero dell’Ambiente, prefetto e questore di Taranto, Ispra, Regione Puglia, Provincia, Comune di Statte, Arpa Puglia, Asl Taranto e Ares Puglia. Gli atti sono trasmessi inoltre, «per opportuna conoscenza, al Procuratore della Repubblica di Taranto».

Adesso si attende la risposta dell’azienda, che quasi certamente farà ricorso al Tar di Lecce (casi simili avvennero anche in passato quando alla guida dell’Ilva c’erano i Riva). Probabilmente bisognerà però ancora attendere, visto che l’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli, è impegnata nel raggiungere l’intesa definitiva con il governo e i commissari straordinari di Ilva in As, con cui modificare il contratto di affitto e acquisizione della multinazionale dell’acciaio e porre fine così alla controversia in corso davanti al tribunale di Milano.

LA FIRMA DELL’ACCORDO sarebbe dovuta avvenire oggi, ma le parti hanno rinviato alla prossima settimana: perché trattandosi di un addendum di modifica di un contratto, si deve attendere il parere del comitato di vigilanza del Mise e soprattutto bisognerà che le parti si trovino di fronte ad un notaio.