Taranto 2019: vi ricordate i tempi in cui le ragioni dell’ambiente venivano contrapposte alle ragioni del lavoro? Si potrebbe ironizzare dicendo «bei tempi» se la situazione non fosse così drammatica. A Taranto ci si continua ad ammalare e si continua a morire per l’inquinamento, a Taranto dal 1° luglio prossimo 1400 operai verranno messi in cassa integrazione fino ad ottobre.

E già si parla di una proroga. A Taranto sono arrivati anche gli ultimi dati ufficiali sulla salute dei cittadini. Il sospetto che i dati epidemiologici potessero essere allarmanti, o quanto meno non rassicuranti, era più che concreto e infatti da mesi le associazioni ambientaliste tarantine diffondevano dati preoccupanti sull’inquinamento e, da ultimo, anche sulla salute.

Proprio per questi in molti, me compresa che lo avevo denunciato in Commissione Ambiente alla presenza del Ministro dell’Ambiente, avevamo trovato grave il rinvio della presentazione del V Rapporto Sentieri guarda caso a dopo le elezioni europee.

Ora che la rivista online «Epidemiologia e prevenzione» ha anticipato la presentazione dello studio sui territori e sugli insediamenti esposti al rischio inquinamento tutti i sospetti vengono tragicamente confermati.

A Taranto, ma non solo, c’è un eccesso di mortalità in particolare per i tumori del polmone, della pleura e per le malattie dell’apparato respiratorio. Confermato anche l’eccesso di malformazioni congenite.

Di fronte a questi dati drammatici è intollerabile una politica che per convenienza nasconde la polvere sotto il tappeto, così come è tragica la prospettiva con cui si pensa di salvare l’acciaieria più grande d’Europa.

[do action=”citazione”]Taranto sta ancora pagando il prezzo di un’idea vecchia di sviluppo, una miopia che ancora oggi dopo oltre dieci decreti salva-Ilva non sembra abbandonare la politica nazionale.[/do]

A cui manca un’idea di moderna politica industriale e la capacità di coniugare il diritto a vivere in un ambiente sano e alla salute con il diritto al lavoro.

L’unica via possibile per dare un futuro al siderurgico e tutelare anche il lavoro è che, insieme alle bonifiche e al risanamento, i nuovi gestori realizzino tutti gli interventi e le innovazioni indispensabili per rendere la produzione dell’ex-Ilva sostenibile e compatibile con la sua collocazione, a ridosso della città.

E bene ha fatto il ministro Costa a disporre il riesame dell’Aia al fine di introdurre condizioni aggiuntive motivate da ragioni sanitarie: spero che voglia tenere conto fino in fondo della gravità dei dati. Per dirlo in uno slogan: l’ecologia si può conciliare con l’economia e farlo fa bene tanto all’ambiente e alla salute quanto allo sviluppo.

La spinta alla sostenibilità tipica dell’ecologia è anche foriera di soluzioni tecnologiche più innovative, di prodotti di maggiore qualità e quindi di maggiore competitività ed è proprio investendo sull’ambiente che si può garantire il lavoro di oggi e di domani ma anche la vita delle persone.

Da questo punto di vista la cassa integrazione annunciata da Arcelor-Mittal non fa che confermare, purtroppo, che la strada intrapresa sinora non è quella giusta.

Nessuno si è esercitato a capire tra 15/20 anni cosa sarà dell’ex-Ilva. Cosa avverrà della produzione dell’acciaio, quali saranno le dinamiche e le prospettive innescate dalla sempre maggior competizione in arrivo dalla Cina e dall’India, cosa servirà per poter essere una potenza manifatturiera in un contesto europeo. In un mondo che cambia, la missione dell’Italia non è competere nel mercato globale puntando al ribasso sui costi e sui diritti, ma è competere grazie alla qualità dei suoi prodotti e servizi, alla sua capacità di innovazione, di trovare nuove soluzioni ai problemi, grazie alla valorizzazione del capitale umano.
In Europa possono restare competitive solo le produzioni specializzate e tecnologicamente più sofisticate, non le produzione di base come le linee a caldo per l’acciaio.

Che, per inciso, sono anche le più inquinanti. La nostra difficoltà nella questione Ilva è data dall’assenza di una politica industriale lungimirante, in un paese manifatturiero come l’Italia con tanti e diversi utilizzatori di acciaio. Ma questa difficoltà non può essere fatta pagare a una comunità ormai prostrata e avvilita. Una comunità che si ammala sempre di più.