Una recente modifica alla riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) varata nel 2014 prevede l’accorpamento della Direzione generale Archeologia a quella Belle arti e paesaggio. Dalle attuali diciassette soprintendenze archeologiche si passerà dunque a trentanove soprintendenze unificate, alle quali si sommano le due speciali di Colosseo (che perde Appia Antica, Ostia e Museo Nazionale Romano) e Pompei senza più Ercolano.

Secondo Franceschini, la fusione delle soprintendenze – definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori – permetterà una distribuzione equilibrata ed efficiente degli uffici preposti alla tutela. Tali parametri sembrano però non essere stati adeguatamente valutati nel caso di Taranto.
La città dei due mari, infatti, si è vista sottrarre la soprintendenza a vantaggio di Lecce, la quale avrà d’ora in poi competenza sull’intero Salento, assorbendo anche la provincia di Brindisi. Altre due soprintendenze avranno sede a Bari e Foggia. Il presidente del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici Giuliano Volpe spiega, in un’intervista a Tg-e Focus del 2 febbraio, che per giungere a una ripartizione omogenea e organica del territorio della Puglia le soprintendenze sono state incardinate nei poli principali delle regioni anticamente corrispondenti a Messapia, Peucezia e Daunia. «Nel far regredire la Puglia a territorio indigeno suddiviso nelle tre aree foggiane, baresi e leccesi – spiega invece lo storico Lucio Pierri, dal 2007 al 2009 assessore al risanamento della città vecchia e all’archeologia di Taranto – si oscura la storia della civiltà greca d’Occidente che ebbe in Taranto il principale centro urbano, politico e culturale».

Pierri ha anche promosso un manifesto di protesta al quale hanno aderito centocinquanta associazioni locali. Trasmesso al prefetto Guidato, il documento ha ottenuto l’attenzione di Volpe, che il 15 febbraio si recherà a Taranto per un confronto pubblico. «La mobilitazione della società civile dimostra quanto sia forte il legame dei tarantini con l’archeologia – insiste Pierri –. La nostra è una battaglia per la cultura perché non si possono cancellare la voce con la quale la città parla al mondo, la sua identità profonda e la sua vicinanza all’antico».
La Soprintendenza alle antichità fu costituita a Taranto nel 1907 ma la direzione degli scavi per la Puglia (estesa alla zona del Materano e alla Calabria) è operativa fin dal 1880. A fine Ottocento rimonta anche il museo archeologico, una delle prime istituzioni scientifiche voluta nel Meridione dal governo unitario.
A Taranto, da più di mezzo secolo, si svolgono inoltre i Convegni internazionali sulla Magna Grecia e si riuniscono annualmente i soprintendenti di Puglia, Calabria, Lucania e Campania per discutere di scavi e ricerca.

In sostegno del «presidio culturale» di Taranto verrà pubblicata a giorni una lettera aperta a Mattarella, Renzi e Franceschini.
Primo firmatario è Emanuele Greco, direttore della Scuola archeologica italiana di Atene. Sentito al proposito, lo studioso tarantino si dice amareggiato di assistere al declassamento di una realtà che non ha bisogno di ulteriori mortificazioni. «Se parliamo di confini storici – specifica Greco – in età classica lo Pseudo Scimno considerava Taranto la più grande città d’Italia. Seguendo invece la logica della riforma Franceschini, Taranto, sull’esempio di Napoli, può essere una Soprintendenza connessa all’area metropolitana ma non ufficio distaccato di Lecce».
Una delle parole chiave della riforma del Mibact è senza dubbio paesaggio, il perno attorno al quale dovrebbe esercitarsi la tutela e muoversi la pratica della valorizzazione del patrimonio archeologico e artistico della nazione. Paesaggio, tuttavia, è anche quello spazio in cui la cittadinanza sia elemento imprescindibile per la costruzione di un orizzonte culturale condiviso.