In controtendenza con il quadro nazionale, in Puglia il Partito Democratico e il centrosinistra riescono a contenere l’avanzata del centrodestra e i voti del Movimento 5 Stelle (che conquistano tre comuni a testa), ottenendo successi insperati appena qualche settimana fa. In particolare nei due test più importanti: le città di Taranto e di Lecce.

NELLA CITTÀ DEI DUE MARI, il candidato del Pd Rinaldo Melucci è riuscito ad avere la meglio sul candidato civico del centrodestra, la direttrice del carcere di Taranto, Stefania Baldassari. Una vittoria raggiunta per meno di mille voti (50,9% a 49,01%), che alla vigilia del ballottaggio appariva un mezzo miracolo, e ottenuta grazie a oltre diecimila voti in più rispetto al primo turno.

 

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Timori che non erano venuti meno nonostante il Pd fosse risultato il primo partito in città già al primo turno e l’apparentamento con il movimento civico che aveva appoggiato il presidente del consiglio comunale Piero Bitetti, che al primo turno aveva ottenuto poco più dell’8%. Bitetti sino ad aprile è stato nelle file del Partito Democratico dal quale è uscito per le mancate primarie per scegliere il candidato sindaco. Un lavoro di riavvicinamento al Pd, portato avanti dal governatore Emiliano, che ha riportato nell’area del centrosinistra il movimento civico Sds, la lista che consentì al primo cittadino Ippazio Stefàno di vincere le elezioni nel 2007 e nel 2012, che nel primo turno si era fermata alle soglie del 3%. Ottenendo addirittura l’appoggio, criticato dall’area ambientalista e dal suo stesso movimento civico che lo aveva candidato al primo turno, dell’ex procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, che con il suo pool di magistrati nel 2012 mise in ginocchio l’Ilva e un’intera classe dirigente del centrosinistra, dal Comune passando per la Provincia, alla Regione Puglia guidata allora da Nichi Vendola.

UNA VITTORIA, quella del Pd, che acquista ancora più significato di fronte ad altri due aspetti di non poco conto: l’avversaria, una donna determinata, attorno alla quale il centrodestra tarantino ha ritrovato unità e compattezza che mancavano dai tempi dell’ultima giunta del 2006, guidata sempre da una donna, quella Rossana Di Bello che causò il dissesto economico che ancora pende come una spada di Damocle sul futuro della città. E, soprattutto, il popolo dell’astensione, che a Taranto in quest’ultima tornata ha registrato un dato record: alle urne si è recato soltanto il 32%, con un’astensione pari al 68%. Un popolo di 113mila persone che andrà riconquistato con una politica seria e credibile, come ben sa il neo sindaco Melucci, che ha dichiarato: «la città va pacificata, c’è bisogno di esprimere una nuova classe dirigente».

MA IL VERO MIRACOLO politico è la vittoria ottenuta a Lecce. Un successo che mancava da ben 22 anni, dal lontano 1997, proprio dai tempi del padre del nuovo sindaco, Stefano Salvemini. In quello che è spesso stato un feudo del centrodestra, in particolare dell’europarlamentare salentino e leader di Direzione Italia Raffaele Fitto. A vincere è stato Carlo Salvemini con il 54,76% delle preferenze contro il 45,24% dello sfidante, il giornalista Mauro Giliberti. Un successo ottenuto grazie all’apparentamento con il candidato civico di centro Alessandro Delli Noci, che al primo turno aveva ottenuto il 14%, peraltro ex assessore della giunta di centrodestra uscente. A Delli Noci, uomo vicino al governatore Michele Emiliano, nel patto siglato prima dei ballottaggi Salvemini ha promesso la poltrona di vicesindaco. Proprio tale particolare pone però un possibile problema di governabilità, considerato che al centrodestra andrebbero 17 dei 32 consiglieri comunali (ed uno ai 5 Stelle) con la concretizzazione della cosiddetta «anatra zoppa».

Dunque, a vincere in Puglia è stato il modello Emiliano. Che a fronte dei risultati ottenuti ha dichiarato che «il Pd deve prendere atto che soltanto costruendo coalizioni di centrosinistra è possibile sconfiggere il centrodestra e il Movimento5Stelle». Un messaggio fin troppo chiaro al segretario del Pd, che in vista delle prossime politiche potrebbe essere costretto a riaprire un canale di dialogo con i famosi dissidenti. Partendo, magari, dal modello pugliese.