La strada che collega Firuzabad a Ghir (Iran) è un’arteria anonima, la pioggia recente l’ha resa fangosa e piena di pozzanghere. La strada è quasi ininterrottamente disseminata di case ai bordi, mura fatiscenti e giardini aridi. Quasi a metà del percorso, nel piccolo sobborgo di Jaidasht, nascono i capolavori tessili dei Qashqai; tappeti tessuti in casa, da donne che si tramandano una tradizione millenaria.

Le case sono tutte ad un piano e i cortili sembrano in perenne disordine. Sodeh apre la porta della sua abitazione, una stufa a kerosene riscalda l’ambiente in un tepore che avvolge dopo le basse temperature che ci sono fuori: i tappeti persiani sono una distesa ininterrotta su tutto il pavimento, l’ordine e la pulizia urta con la trascuratezza dell’esterno. Sodeh si dirige verso una camera da dove provengono rumori ruvidi e secchi. Dietro la porta due donne con le gambe conserte sono intente a cucire un tappeto su un’intelaiatura che copre quasi tutta la metratura della stanza. Mani sapienti e veloci fanno passare l’ago e i fili colorati sopra e sotto i lunghi filamenti che costituiscono la struttura del tappeto.

Fatima Kavoosi è la più anziana delle due, ha circa 45 anni e da quando ne aveva 7 che cuce tappeti: “Ho imparato da mia madre come lei dalla sua, insegno alle mie figlie, fa parte della nostra tradizione e cultura”, afferma senza distogliere lo sguardo dal ricamo che deve comporre. I suoi movimenti sono automatici, ripetuti meccanicamente, il corpo di Kavoosi ondeggia da un bordo al centro del tappeto, l’altra metà viene tessuta dalla sua amica e vicina di casa che non vuole rivelare il suo nome. “Le ho insegnato a cucire i tappeti molti anni fa, lavoriamo sempre insieme così ci impieghiamo la metà del tempo nel realizzarli”, puntualizza Fatima.

Il tappeto che stanno facendo, una volta terminato, sarà grande due metri per tre, il disegno che verrà rappresentato è Mahidarham (pesci scompigliati) caratteristico dei qashqai della regione di Kerman. “Un uomo d’affari ce lo ha commissionato, ci porta tutto il materiale, dai gomitoli di lana al telaio, ci paga alla giornata ed a lavoro ultimato, tra circa quattro mesi, prenderemo circa 6 milioni di toman (circa € 1500)”, precisa Fatima. Il tappeto sarà rivenduto a cinque/sei volte il compenso delle tessitrici. “Non abbiamo i soldi per permetterci di comprare tutta l’attrezzatura e la lana, anche se ci riuscissimo, come avveniva una volta, non avremo chi ci pagherebbe il giusto compenso”. Gli intermediari sono necessari, ma purtroppo prendono la maggior parte del guadagno. Una soluzione potrebbe essere la creazione di cooperative, ma il governo centrale di Tehran non lo vede di buon occhio. I qashqai continuano ad essere considerati l’etnia che ha sempre lottato per la propria autonomia e che spesso si è trovata in contrasto con il governo centrale.

Ali Khashtan, 40 anni, porta un carroattrezzi a Ghir, rimorchia e ripara le macchine che rimangono ferme in strada, punta il dito contro il governo che permette a questi intermediari di fare il bello e il cattivo tempo su chi lavora veramente e che avrebbe un estremo bisogno di soldi per iniziare un’attività in proprio. Eppure riuscire ad ottenere una commissione significa molto per ogni famiglia. Nella regione la disoccupazione è alta e gli uomini non possono contare sul gregge di capre come facevano un tempo perché in molti hanno abbandonato la pastorizia convinti di trovare lavori più redditizi. Il lavoro di Fatima Kavoosi e della sua vicina, come di tante altre, è una manna per le famiglie qashqai che vivono nella regione di Firuzabbad e costituisce l’unica fonte di sostentamento familiare.

I Qashqai una volta erano nomadi e i greggi rappresentavano una ricchezza che durava nel tempo. Poi negli anni ’90 molti hanno venduto le mandrie per l’alto prezzo che aveva raggiunto la carne pensando di fare un buon affare. Ma i soldi si sono volatilizzati presto e, dopo qualche anno, in molti si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano per l’alta inflazione e il perenne embargo che stritola l’economica iraniana. La storia di Ali Khashtan e di suo padre è la stessa di migliaia di altre famiglie, è la condizione di chi si è ritrovato a iniziare tutto daccapo, trovare e inventare un lavoro per sbancare il lunario. Le donne qashqai forse sono le uniche che continuano a portare avanti la tradizione dei propri avi intrecciando i tappeti su telai fatti a mano. È proprio la pregiata lana degli allevamenti qashqai che rende unici e straordinari i loro tappeti: per il blu intenso e il rubino scuro, “Dovuti proprio alla lucentezza della lana locale che è più trasparente della seta che dà l’impressione di uno smalto traslucido”, come scriveva Walter A. Hawley nel lontano 1913 nel suo libro “Oriental Rugs”.

Mariam (nome inventato), un’altra donna qashqai che vive un paio di isolati più avanti di Fatima, mostra orgogliosa il tappeto che le è stato commissionato di 3,5×2,5 metri. Ci sono voluti 9 mesi per terminarlo perché, a differenza di Kavoosi, preferisce lavorare da sola. Mariam ha il viso scuso, segnato da qualche ruga, lo sguardo che sostiene quello di chi gli è di fronte, ogni centimetro del pavimento della sua casa è stato cucito da lei: i tappeti di diverse dimensioni, i cuscini, alcuni addobbi sulle pareti. È orgogliosa di mostrare i suoi capolavori, ma come tutte le sue colleghe deve obbligatoriamente sottostare al giuoco degli intermediari di cui non vuole assolutamente sentir parlare.

La tessitura dei tappeti in Iran è conosciuta in tutto il mondo ed è un lavoro artigianale antico che affonda le radici in tempi remoti. Il lavoro è ripetitivo: si intrecciano i fili di diversi colori dentro la rete stirata sul telaio rettangolare, con una spazzola-pettine si deve pressare con forza e colpi decisi i nodi appena fatti per rendere la struttura rigida. Se non si compattassero bene i nodi il tappeto potrebbe rovinarsi facilmente. È un lavoro fisico incessante e continuo, si ottengono appena 2 centimetri di tappeto al giorno, anche perché le tessitrici devono curarsi delle altre mansioni domestiche. Hanno un ritmo intenso: sveglia al mattino presto, intorno alle cinque, fanno il pane, danno da mangiare al resto della famiglia, procedono con il bucato e poi nei ritagli di tempo si mettono al telaio per ricavare quella manciata di soldi che rappresenta oro per il resto del nucleo familiare. “Il lavoro duro ed i sacrifici sono tutti a carico nostro, facciamo tappeti che nessuno sa quanto lavoro e pazienza ci vogliono, e non abbiamo neanche un’assicurazione che ci possa risarcire nel caso di infortuni e neanche un sindacato che ci possa rappresentare”, afferma Fatima scuotendo la testa.

Infatti, Ali Khashtan è convinto che se ci fosse più guadagno sia nella pastorizia che nella tessitura le nuove generazioni sarebbero più disposte a portare avanti la cultura dei propri avi, nell’intreccio tra il nomadismo e la sapiente manualità delle donne qashqai. Ma le sovvenzioni statali non esistono, tutto gira intorno alla rete di contatti dei negozianti e degli intermediari, creare un sistema equo-solidale anche con imprese o Ong straniere è impresa ardua per un paese che non fa parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).

I RESTAURATORI DEL TEMPO

Un tappeto logoro, consunto dal tempo, dai tarli, da una bruciatura incauta che distrugge gli ornamenti floreali o le scene di caccia rappresentate da intrecci di fili di lana, se si vive in Europa è probabile che un tappeto così finisca nella spazzatura, a meno di non nasconderne la parte interessata sotto un mobile. Ma se si vive in Iran il discorso cambia radicalmente, comprare un tappeto persiano significa spendere una fortuna e non ci si può permettere di gettarlo via così facilmente. Anche se in occidente ci sono diverse ditte specializzate per il restauro, in Iran, dove i tappeti sono il centro della vita quotidiana e familiare, dove tutti gli angoli di casa li vedono protagonisti, la professione per la riparazione di tessuti così delicati e importati è un’esigenza primaria.

Hussein, prima della rivoluzione khomeinista, lavorava come autista per una ditta privata italiana che era presente in Iran. Era molto giovane allora e per un lungo periodo, come tutti i cittadini iraniani, è stato assorbito dal turbolento processo rivoluzionario dopo il 1979. Non è molto prodigo di parole, preferisce non parlare di quel periodo anche perché ogni frase fuori luogo potrebbe causargli problemi con l’apparato di sicurezza dei pasdaran. Da circa 20 anni lavora ed è responsabile della ditta di restauro di tappeti persiani del fratello maggiore a pochi metri dal bazar di Shiraz.

Ha lo sguardo pacato, ha il capo calvo con pochi capelli incanutiti ai lati, è seduto sul pavimento con le gambe conserte, la schiena piegata sul capo da sistemare e maneggia l’ago sul tessuto per riportarlo a nuova vita. “Possiamo riparare solo i tappeti fatti a mano perché hanno i nodi, quelli industriali sono fatti con la colla e non c’è niente che possiamo fare”. È un’opera di ricostruzione meticolosa, anche in casi estremi in cui un lembo considerevole del tappeto è bruciato si può intervenire ricostruendo completamente da zero la parte mancante. “A volte anche meglio di come era stato tessuto originariamente”, specifica Hussein. Se il nodo è lacerato viene rimosso, si procede con un’operazione complessa che prevede l’aggiunta a maglia di moltissimi nodi sequenziali disposti in fila. Terminata questa fase il tappeto viene lavato, perché in questo modo la lana si ammorbidisce ed è più maneggiabile. L’ultima parte del processo prevede il passaggio attraverso una macchina speciale che elimina i nodi superflui, ma nel caso siano troppo piccoli ecco che subentra l’intervento umano attraverso un lavoro minuzioso e con piccole forbici si tagliano uno ad uno i fili eccedenti.

“Dobbiamo agire come veri a propri chirurghi perché può capitare di dover riparare capi preziosi che hanno più di 100 anni”. Quando le dimensioni del danno sono molto estese allora si usa un’intelaiatura sulla quale si ricostruisce interamente la parte mancante o danneggiata, allo stesso modo in cui le tessitrici cuciono il tappeto da zero. Per il restauro si impiega circa un mese, a seconda delle dimensioni e dell’entità del danno, il compenso può variare tra i 3 e i 4 mln di toman (circa 800-1000 euro) più la commissione dell’intermediario di circa 1,2 mln di toman. Il mondo dei tappeti pregiati è vastissimo, ed ha un commercio che spazia in tutto l’emisfero, anche in Europa il restauro è legato a ditte specializzate che devono prima visionare il pezzo da riparare per fare una valutazione: ovviamente dipende da quanto è antico il tappeto, dall’entità del deterioramento e da che zona del mondo proviene perché ogni modello ha la sua tecnica di tessitura.

Mentre Hussein parla continua il suo lavoro, guarda il suo interlocutore, le sue mani si muovono con un automatismo che spesso non richiede il controllo costante della vista. Sta riparando il bordo di un tappeto turco-qashqai, lo si può capire perché il modello è bicolore che è quello preferito nella regione di Shiraz, mentre, come sottolinea Hussein, quelli caucasici di Tabriz o iraniani di Esfahan sono più variopinti. Gli altri lavoratori sono concentrati ognuno sul proprio restauro. “Siamo in nove, ma alcuni sono già andati a casa vista l’ora”, afferma mesto. Lavoriamo dalle 7 del mattino fino alle 18:30, tutti i giorni escluso il venerdì e comunque non ripariamo solo tappeti, perché non sempre c’è lavoro”. Una caratteristica molto importante è l’ottimizzazione delle poche risorse, Hussein dalla posizione prona si alza lentamente dal pavimento si avvicina ad una parete del negozio e prende una borsa: “Questa è stata fatta recuperando tutta la lana di scarto dei tappeti persiani o anche solo da tappetini e zerbini troppo consunti e irrecuperabili”, dice compiaciuto. Il lavoro artigianale è una vera e propria maestria che non ha nulla da invidiare alle tessitrici di tappeti, il recupero di materiale non serve solo per fare borse ma anche per le cornici degli specchi che vengono rivendute al limitrofo bazar di Shiraz per somme che variano dai 5 ai 500 euro.

Hussein ritorna sul suo tappeto, termina di cucire il bordo, chiude il nodo strappando il filo con i denti con un gesto delicato. “C’è voluto tanto lavoro su questo capo, dalla casa da dove proviene il gatto continuava ad affondare le unghie sul suo tessuto per affilarsele, aveva sciolto tutti i nodi e li abbiamo dovuti ripristinare quasi tutti!”, conclude sorridendo. Per fortuna in Iran, oltre ai tappeti, i popolari gatti persiani continuano a disfare i nodi permettendo la riparazione di storie intessute fin dall’antichità, fin dai tempi di Ciro il Grande perché, anche se ritrovato in Siberia, il Tappeto di Pazyryk risalente al 500 a.c. è indubbiamente di fattura persiana, così i restauratori di tappeti sono in grado di riportare alla luce immagini, storie e, in quelli antichi, persino novelle (fonte Wikipedia).