Il cortocircuito scoppiato all’interno del Movimento 5 Stelle, prodotto dal mancato stop al proseguo dei lavori del gasdotto Tap, ha comportato il caos su una vicenda in realtà molto più chiara e semplice di ciò che appare. Il mantra con cui il premier Conte e il vicepremier Di Maio hanno difeso l’operato del governo, sostenuto dalla maggioranza dei ministri, parlamentari e senatori pentastellati, ovvero il rischio di penali da decine di miliardi di euro che l’Italia avrebbe dovuto pagare in caso di stop al progetto, si è rivelato ben presto un bluff politico giocato su termini e numeri che in molti non conoscono. Bluff che dopo le prese di posizione del movimento No Tap e del sindaco di Melendugno Marco Potì, è stato «smascherato» involontariamente, dal direttore generale del Ministero dello Sviluppo Economico Gilberto Dialuce, ovvero il dicastero di cui Di Maio è ministro, nella risposta fornita il 27 settembre scorso alla richiesta di accesso agli atti inviata il 2 agosto scorso al Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione internazionale dall’avvocato Michele Carducci, a nome dei vari gruppi e movimenti che si oppongono al gasdotto.

Lettera nella quale, innanzitutto, si parla di costi di abbandono e non di penali da pagare, le cui cifre pari a 40 e 70 miliardi, sono state fornite dalla società di Stato azera Socar, «durante gli incontri in Azerbaijan lo scorso 23 luglio. Non si tratta pertanto di conteggi effettuati dal Governo italiano o da questo Ministero». Ribadendo che il Tap è un’opera la cui realizzazione non prevede finanziamenti dello Stato italiano, viene specificato che «un’eventuale revoca dell’autorizzazione rilasciata, col conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati (la società costruttrice, le società che hanno avuto appalti di lavori, gli esportatori del gas azero, gli acquirenti che hanno già firmato contratti di acquisto del gas con consegne del gas in Italia a partire dal 2020) e pubblici, configurando richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano, attivando cause o arbitrati internazionali in base alle convenzioni internazionali firmate dall’Italia che proteggono gli investimenti esteri effettuati da privati, motivati anche dalla violazione dell’Accordo Intergovernativo sottoscritto e ratificato dal Parlamento italiano». Dunque, non si parla di penali da contratto perchè l’Italia non è contraente, a differenza del consorzio Tap il cui azionariato è composto da Bp (20%), Socar (20%), Snam (20%, controllata da Cassa Depositi e Prestiti), Fluxys (19%), Enagàs (16%), e Axpo (5%), ma di eventuali costi a carico dello Stato.

Intanto, il consorzio Tap è pronto a riprendere i lavori in mare in Salento. Già oggi infatti, tempo favorevole permettendo, prenderanno il via le operazioni in corrispondenza del punto di uscita del microtunnel del gasdotto che sarà scavato da una «talpa» sottomarina, a circa 800 metri dalla costa. Prima sarà effettuato un monitoraggio del rumore sottomarino e dei mammiferi marini e di boe turbidimetro (fissa e mobile) per monitorare la torbidità dell’acqua, poi quelle di protezione ambientale all’altezza del punto di uscita del microtunnel, il cui inizio sarà sulla terraferma, a circa 800 metri dalla costa. Dove invece il cantiere è ancora sotto sequestro da parte della Procura di Lecce, che sta indagando sull’effettivo rispetto di alcune prescrizioni ambientali da parte di Tap.