Dopo quattro tentativi all’estero e tutti i risparmi andati in fumo, compreso l’anticipo del Tfr, Anna (nome di fantasia) e suo marito – impiegati romani sulla quarantina – hanno ormai dovuto rinunciare al sogno di portare avanti una gravidanza e veder nascere il loro figlio. Anna è ormai sterile perché affetta da quando aveva 14 anni da un’endometriosi gravissima e degenerativa, a causa della quale è entrata in menopausa precoce a 29 anni. Nel 2005, due mesi prima del referendum per abolire la legge 40, Anna, dopo molti interventi chirurgici e persa ogni speranza di una gravidanza “naturale”, si rivolge a un centro di fecondazione artificiale di Roma. Ma proprio mentre arriva la notizia che il referendum non ha raggiunto il quorum a causa del boicottaggio cattolico oltranzista, i medici informano la coppia dell’impossibilità di procedere con le varie tecniche di fecondazione omologa.

«Ed era ormai troppo tardi per poter ricorrere alla ovodonazione in Italia perché la legge 40 era stata confermata con i suoi divieti, compreso quello del ricorso all’eterologa – racconta Anna –. Fu una batosta incredibile per noi. Capimmo sulla nostra pelle cosa significa avere una malattia e non poterti curare nel tuo Paese». La coppia non rinuncia però a battersi per i diritti di tutti, quelli che la legge 40 nega, e perciò si iscrive all’Associazione Luca Coscioni. «All’inizio – spiega la donna – ho portato avanti la mia battaglia alla luce del sole, ma poi ho cominciato a vergognarmi perché in Italia ci sono troppi pregiudizi, soprattutto quando si parla di menopausa precoce o di eterologa». Appena superato lo choc, la coppia “emigra”: in Spagna, a Granada, dove falliscono uno dietro l’altro quattro tentativi con ovodonazione anonima e dove vanno in fumo 30 mila euro. «Dal punto di vista umano – prosegue Anna – è stata però un’esperienza positiva: strutture accoglienti e familiari, e personale medico estremamente gentile e disponibile, anche se proprio non riuscivano a comprendere per quale motivo dovessimo rivolgerci all’estero. Eppoi abbiamo incontrato decine di coppie nelle nostre stesse condizioni, ho ancora l’agendina piena di numeri di telefono». Dopo ogni ciclo di estrogeni però «il mio endometrio aveva bisogno di un intervento chirurgico fino a che, nel gennaio 2008, i medici ci sconsigliarono di continuare; e peraltro non avevamo più risorse economiche». Così infine si arrendono. E gli ultimi tre embrioni congelati li donano alla scienza spagnola «per incoraggiare la ricerca sulle cellule staminali che in Italia non è possibile». Fine del sogno. Mai pensato all’”utero in affitto”? «Sì, e io lo avrei fatto, se solo avessi avuto i soldi – risponde convinta Anna – anche sfidando i tabù culturali che resistono da noi. D’altronde abbiamo dovuto rinunciare anche all’adozione per lo stesso motivo. Certo, non sarei mai andata in un Paese del terzo mondo a sfruttare donne che hanno bisogno di soldi, ma negli Stati uniti per esempio sì. Lì c’è una grande tutela della donna che decide di portare avanti la gravidanza per un’altra donna che non può farlo. E sa, la malattia mi ha portato una grossa apertura mentale e mi ha insegnato il rispetto dell’altro, anche di chi non la pensa come me. Quel rispetto che i fautori della legge 40, secondo me, non conoscono».