«Non si può vivere senza il manifesto», dice Cristina, sindacalista novarese, a fine cena, raccontando di come lo leggesse di nascosto dal padre che comprava l’Unità: «Ma col tempo anche lui si legò al nostro quotidiano, ne ritagliava gli articoli e ci ringraziò di averglielo fatto scoprire». In una spontanea frase di affetto sta racchiuso il senso di una serata, quella trascorsa a Pombia (Novara), venerdì 7 febbraio, per una delle «cento cene per il manifesto». Un incontro ricco di empatia, che difficilmente dimenticheremo. Ma riavvolgiamo il nastro dall’inizio. La sala del Centro Polifunzionale del Comune di Pombia, piccolo comune dell’Ovest Ticino, ultimi scampoli del Piemonte prima di arrivare in Lombardia, si è riempita in fretta. Qui, si sono raccolti tanti pezzi di sinistra, data per scomparsa dalla narrazione mainstream, ma che tuttora lotta per l’acqua pubblica e per la pace, si impegna a difesa dell’ambiente e per l’accoglienza dei migranti, per i diritti dei lavoratori e contro le discriminazioni. Insomma, per un altro mondo possibile.

«Un incontro tra generazioni di militanza», ha precisato nel dibattito iniziale Jacopo Rosatelli, collaboratore de il manifesto esperto di temi europei – e tra i primi ad aver lanciato già a Torino l’idea e la pratica delle «cene per il manifesto» -, fotografando la contaminazione della serata. Un incontro nato dalla vicinanza all’ultimo quotidiano sopravvissuto della sinistra, che resiste nell’attuale crisi del panorama editoriale. Insieme ai propri lettori e ai compagni di strada: la serata di Pombia lo ha dimostrato. L’aspetto della partecipazione è ritornato nelle parole di Marco Revelli, politologo e firma de il manifesto, che, descrivendo la vittoria di Stefano Bonaccini in Emilia come un positivo sollievo, si è augurato che non ritorni la logica del maggioritario. Nella sala sono state appese prime pagine storiche del quotidiano e più recenti, copertine di speciali e di ExtraTerrestre.

Cosa significano garantismo, sinistra e comunismo oggi e perché serve una voce critica e libera come il manifesto: sono solo alcuni dei temi affrontati dal dibattito. Fino ad argomenti che investono direttamente il territorio come, per esempio, l’amianto. Finché non ci sarà una completa bonifica rimarrà il problema. «Il processo per i morti di Casale Monferrato (Alessandria), che vede imputato l’ultimo proprietario dell’Eternit Schmidheiny è stato trasferito da Vercelli alla corte d’Assise a Novara.

La prima udienza – ha spiegato Carla Cavagna di Medicina Democratica – è programmata il 27 novembre prossimo: dobbiamo andare in tanti, come hanno fatto e fanno attivisti e familiari di Casale». Morti d’amianto ne conta anche la storia del polo chimico Montefibre di Pallanza (Verbania), a pochi chilometri da qui, vittime senza giustizia. Come ha ricordato Carlo Alberganti, sindacalista, già segretario della Camera del lavoro di Verbania, fondatore del gruppo politico del Manifesto nel Novarese.

Gianpaolo Andrissi, già consigliere regionale M5s, ha sollevato il problema degli sprechi dietro al nuovo Ospedale di Novara, con il pasticcio del «partenariato pubblico privato». L’auspicio di Medicina Democratica è che «non sia un affare per pochi, ma un’opera pubblica che non produca un indebitamento del sistema sanitario piemontese». Paolo Rizzi, storico attivista del movimento dell’acqua e animatore del raffinato cineforum «Il posto delle fragole» a Bellinzago Novarese, ha ricordato la storia dell’area della tenuta del Casone – un vasto territorio di circa 220 ettari, di cui 160 a bosco nel Parco del Ticino – «acquisito dalla Regione Piemonte nel 2002 ma ancora senza destinazione, dopo vari tentativi di privatizzarlo e sottrarlo alla comunità.

La succulenta cena – che ha raccolto più di mille euro per il manifesto – dagli antipasti al dolce non un piatto a caso, proposta dall’«operaio dei fornelli» Salvatore Palmieri si è avvalsa delle materie prime della Zappa Arcobaleno di Lello D’Acunto, uno degli organizzatori della serata, che con il suo progetto di orticoltura naturale ha dato vita al sogno di un gruppo di migranti e di agricoltori italiani: una società agricola semplice come mezzo di integrazione.