«Se oggi si parla in tutta Italia di Trieste e di Regeni è anche in conseguenza della mozione che noi abbiamo presentato». Sembra incredibile ma è all’incirca con queste parole, a dir poco provocatorie, che si è espresso il consigliere forzista Piero Camber nella seduta del Consiglio comunale di lunedì 10 ottobre – finita in serata, troppo tardi per noi – , rivendicando la paternità dell’iniziativa e per ribadire la volontà del centrodestra di non ricollocare lo striscione con la scritta «Verità per Giulio Regeni» sulla facciata di Palazzo Cheba, sede del Municipio, suscitando subito con queste parole l’indignazione e la rabbia del pubblico presente, numeroso per l’occasione.

La mozione presentata dalle opposizioni, che dello striscione chiedeva subito il ripristino, è stata così respinta con 24 voti contrari, 15 favorevoli, 1 astenuto. A quel punto la destra, forte dei suoi numeri, ha fatto approvare un’altra mozione il cui testo stabilisce in modo perentorio ed ultimativo come solo «l’affissione di manifesti e striscioni attinenti esclusivamente l’attività istituzionale dell’amministrazione o legati alla promozione di eventi coorganizzati dal Comune» potrà essere consentita e che «solo in casi del tutto eccezionali il sindaco potrà disporre l’ esposizione di striscioni e manifesti per periodo comunque non superiori a trenta giorni».

Chi ha assistito al dibattito che si è svolto in aula consiliare ha toccato con mano l’alterigia e la prepotenza con cui attraverso un burocratese squallido ed aziendalista – come definire altrimenti le motivazioni addotte e il testo della mozione? – il centrodestra ha inteso sbrigativamente liquidare la questione. C’è da dubitare però che il sindaco Di Piazza possa aver risolto il «problema» che lui stesso ha voluto creare ad ogni costo.
Lo testimoniamo le oltre mille persone che, nonostante la bora ed il freddo si sono ritrovate in piazza Unità, raccogliendosi con volantini e bandiere attorno allo striscione giallo di Amnesty International e che a lungo hanno gridato la loro indignazione volgendo lo sguardo alle finestre buie del Palazzo: continueranno, e non si fermeranno, a chiedere «Verità per Giulio Regeni».
E poi già il pubblico in aula lasciava ben sperare, molti i giovani infatti, presenti in sala consiliare che non si sono lasciati azzittire ed hanno reagito alle provocatorie argomentazioni della destra (perfino con l’improbabile, sbagliato e indecoroso accostamento tra la vicenda di Giulio Regeni e quella dei due marò) suscitando per questo le ire inconsulte del presidente del Consiglio Comunale, che ha ordinato lo sgombero dell’aula facendo intervenire i vigili urbani e gli uomini della Digos, presenti anch’essi in aula.

Va detto che nella stessa seduta si sarebbe dovuto discutere una questione molto importante, una mozione leghista che chiedeva la chiusura della Casa delle Culture, centro di aggregazione giovanile e di iniziative politiche e culturali, una realtà sociale che ovviamente alla destra dà fastidio.
Il folto gruppo di giovani che ha supportato Amnesty International, una parte del quale era presente in aula, ha riferito di un clima politico ostico e di una platea impermeabile all’ascolto, di un regresso civile del confronto politico che preoccupa.

E che la Trieste civile e democratica, vicina alla famiglia Regeni, non merita. La mobilitazione per pretendere «Verità e giustizia per Giulio Regeni» dunque continua ma i fatti di lunedì 10 ci ammoniscono che le mozioni in Consiglio comunale non bastano più.