Con l’aggravarsi degli scontri in Libia, senza un governo e dilaniata da battaglie tra milizie, migliaia di persone stanno tentano di lasciare il paese. Molti dei profughi hanno attraversato il confine con la Tunisia. Secondo il ministero degli Esteri tunisino, sono un milione e mezzo i cittadini libici residenti nel paese, molti di loro hanno lasciato la Libia dopo gli attacchi della Nato del 2011 e con l’inasprirsi della crisi politica.

Ma a pagare uno dei prezzi più alti dell’escalation libica sono i rifugiati africani. Ieri si è verificata una nuova tragedia dell’immigrazione. Almeno 20 migranti sono morti e decine risultano i dispersi nel naufragio di un barcone ad Al Khums, 100 chilometri a est di Tripoli. Secondo i migranti tratti in salvo, a bordo c’erano circa 150 persone. «Una pattuglia della marina ha messo in salvo 22 di loro che erano aggrappati ai resti della loro imbarcazione», ha spiegato il colonnello Kassem Ayoub, portavoce della marina libica. Eritrei, etiopi, sudanesi e somali stanno tentando disperatamente di lasciare il paese in fiamme. Secondo l’Habesha, ong per la cooperazione e lo sviluppo attiva in Libia, è per questo immediatamente necessario «un corridoio umanitario». Per l’ong, i profughi in Libia sono totalmente abbandonati, e vengono sfruttati senza pietà da uomini armati di varie milizie che abusano di loro, li derubano, li rapiscono per ricattare le loro famiglie.

Come sempre, Bengasi è la città più colpita dalla nuova ondata di scontri. «Da due giorni ci sono bombardamenti e combattimenti. Si vive nella paura e nel caos totale. Qui sono tutti decisi ad andarsene. La gente è rintanata dentro casa e in alcuni quartieri non c’è elettricità», è la drammatica testimonianza alla stampa locale di un religioso, Amado Baraquel, residente a Bengasi. Solo nel capoluogo della Cirenaica sono oltre quaranta i morti negli ultimi giorni. Un aereo militare si è schiantato ieri nella periferia urbana. Lo ha reso noto il capo delle operazioni aeree Sagr al-Jerouchi, militare vicino al golpista Khalifa Haftar che nello scorso maggio ha tentato di conquistare la Tripolitania ed entrare nel parlamento, con l’aiuto dei miliziani di Zintan.

L’attacco all’aereo militare sarebbe opera di Ansar Al-Sharia. Già nei giorni scorsi, i jihadisti avevano conquistato in parte la base in cui si trovano le truppe speciali dell’esercito libico, vicine ad Haftar. Ma da ieri, secondo la stampa locale, l’intero quartier generale dell’esercito a Bengasi sarebbe nelle mani degli islamisti radicali. È stato il Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, che raggruppa le milizie jihadiste attive nel capoluogo della Cirenaica, ad annunciare di aver preso il controllo della base.

A Tripoli invece sembra ridimensionarsi l’incendio di un deposito di greggio che aveva fatto gridare le autorità libiche al pericolo di disastro ambientale. È stata invece smentita la notizia, resa nota martedì dall’ufficio del premier libico ad interim Abdallah al-Thinni dell’invio da parte dell’Italia di 7 aerei Canadair per spegnere l’incendio. La Farnesina ha spiegato che non ci sono le condizioni di sicurezza per mettere in atto l’operazione e ha aggiunto che l’ambasciata italiana a Tripoli continua a funzionare, nonostante parte del personale sia stato trasferito in Tunisia. La sede diplomatica italiana funge così da centro per le altre rappresentanze europee che nei giorni scorsi hanno lasciato in massa il paese. È proseguita ieri la fuga dei diplomatici stranieri dal paese.

Francesi e britannici, diplomatici ed espatriati, hanno lasciato la Libia a bordo di una nave della Marina militare francese. L’Egitto ha invece raddoppiato il proprio personale doganale di stanza al confine tra Libia e Tunisia per favorire la partenza degli egiziani da Tripoli.

Non sono mancate poi le ore di tensione, alla vigilia della prima riunione del parlamento del prossimo 4 agosto, in parte eletto lo scorso 25 giugno, nonostante la scarsissima partecipazione degli aventi diritto al voto. Alcuni parlamentari in pectore avevano tentato di riunirsi nei giorni scorsi con poco successo. Mentre ieri mattina a Tripoli è scomparso per alcune ore l’ex primo ministro pro tempore, in carica per poche ore nel 2012, Mustafa Abushagur. Il politico laico, che in queste ore stava mediando una tregua di 24 ore per spegnere l’incendio al deposito di greggio della capitale, non rispettata dai miliziani, aveva lasciato l’incarico dopo la bocciatura della sua lista di ministri non rappresentativa del frammentatissimo spettro politico libico.