La ricerca di farmaci contro il Covid-19 in questo momento è febbrile ma riguarda farmaci già esistenti, non sviluppati specificatamente contro il Covid-19. Quelli ritenuti più promettenti rientrano in due categorie. In primo luogo ci sono i farmaci antivirali, che bloccano la replicazione dei virus nell’organismo. Appartiene a questa categoria il remdesivir. Era stato sviluppato originariamente come cura anti-Ebola, ma nei test è risultato meno efficace di altri farmaci. Si sperimentano anche i cocktail di farmaci utili nel trattamento dell’Hiv, come lopinavir e darunavir, che nei pazienti sieropositivi si affiancano al ritonavir. In alcuni paesi si guarda anche al favipiravir (più noto come Avigan), un antivirale usato normalmente contro l’influenza.

Una seconda tipologia di farmaci punta a bloccare l’evoluzione della malattia dopo la replicazione virale. Nei casi più gravi, infatti, l’infezione provoca una risposta incontrollata del sistema immunitario – la cosiddetta «tempesta di citochine» – che è la causa diretta dell’insufficienza respiratoria e della morte dei pazienti. Per intervenire in questa fase avanzata si punta su farmaci che bloccano l’infiammazione e frenano la risposta immunitaria, un po’ il contrario di quello che si fa nel primo stadio della malattia. Appartengono a questa categoria l’idrossiclorochina, l’interferone e il tocilizumab.

Finora, nessuno di questi farmaci ha fornito prove di sicura efficacia. In alcuni casi (come per il remdesivir) si sono raccolti indizi incoraggianti in laboratorio ma non sui pazienti. In altri casi, come l’idrossiclorochina, le sperimentazioni hanno riguardato pochi pazienti e senza sufficienti controlli sulla riproducibilità dei dati. In altri casi ancora si sono ottenute indicazioni contraddittorie: il lopinavir, per esempio, non ha mostrato benefici in una sperimentazione su pazienti gravi, ma trattandosi di un anti-virale il suo effetto potrebbe essere benefico soprattutto nella prima fase della malattia. Ulteriori sperimentazioni dei farmaci, i cosiddetti «trial clinici», sono in corso in tutto il mondo e anche in Italia.

Realizzare un trial affidabile però è complicato e costoso. Occorre rispettare criteri statistici stringenti, confrontare il farmaco con il placebo, includere i pazienti nella sperimentazione in modo imparziale, evitare conflitti di interesse tra ricercatori e aziende farmaceutiche. Nelle piccole sperimentazioni, queste condizioni sono soddisfatte raramente. Così, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha deciso di avviare un trial clinico su scala mondiale per verificare l’efficacia di remdesivir, lopinavir/ritonavir, idrossiclorochina e interferone, coinvolgendo ricercatori di 90 paesi diversi. Il trial prende il nome di «Solidarity» e secondo l’Oms accorcerà dell’80% i tempi necessari per verificare l’efficacia dei farmaci. Anche diversi paesi europei coordinati dall’istituto francese Inserm, ma senza l’Italia, hanno avviato un trial denominato «Discovery» sugli stessi farmaci e con le stesse regole fissate dall’Oms.