Forse qualcuno di loro, alla fine, sarà sul palco di piazza del Duomo il 18 maggio, quando Matteo Salvini chiuderà la campagna elettorale per le europee, ma per il momento a fare notizia è soprattutto l’elenco delle defezioni che il Carroccio ha dovuto incassare per il meeting dei sovranisti continentali con il quale la corsa al voto prenderà avvio, sempre a Milano ma più modestamente nelle sale di un hotel del centro, già il prossimo lunedì. Non saranno infatti della partita né il premier ungherese, Viktor Orbán, né la leader del Rassemblement National francese, Marine Le Pen e neppure i rappresentanti dell’Fpoe austriaco, i liberal-nazionali eredi di Haider che a Vienna governano con i popolari.

ASSENZE CHE PESANO, ma che se nel caso di Orbán, alla testa di una formazione, il Fidesz che fa ancora parte del Partito popolare europeo – che solo un paio di settimane fa ha deciso di «metterlo sotto esame», ma con decorrenza successiva alle elezioni del 26 maggio -, può risultare comprensibile, stupisce per due movimenti da tempo legati alla Lega. In Francia, Le Pen ha fatto stampare addirittura dei manifesti elettorali che la ritraggono accanto a Salvini, con la frase: «Le nostre idee stanno arrivando al potere».

Per motivare la rinuncia alla trasferta italiana, Le Pen ha spiegato di essere impegnata con la campagna per le europee nel suo paese, mentre Harald Vilimsky, tra gli eletti del Fpoe a Bruxelles, ha detto di sentirsi ben rappresentato dal vicepremier e ministro degli Interni italiano del quale condivide la comune affiliazione al gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà in seno al parlamento della Ue. Questo, mentre i leghisti hanno minimizzato, sostenendo che non ci sarebbe stata «nessuna diserzione» e che si tratterebbe invece di «assenze concordate». Mentre Salvini, tranchant come sempre ha parlato di «fake news e notizie surreali».

PER CAPIRE DAVVERO cosa stia maturando in casa Lega quanto a progetti europei – lunedì sarà anche l’occasione per presentare il «manifesto sovranista» del Carroccio che, in nome delle «comuni radici cristiane», la difesa delle «identità nazionali» e la lotta «all’immigrazione» chiama a raccolta populismi e destre di ogni paese -, più che agli assenti si dovrà però guardare a chi prenderà parte all’incontro.

A MILANO CI SARANNO infatti sia l’eurodeputato dell’Alternative für Deutschland, Joerg Meuthen che rappresentanti dei Veri finlandesi, già al governo a Helsinki, e del Dansk Folkeparti, il Partito del popolo danese. Tutte formazioni schierate su una linea ferocemente anti-immigrati che nulla ha da invidiare a Le Pen e Salvini, ma i cui eletti in Europa siedono rispettivamente nel gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, già insieme a Farage e ai 5 Stelle, l’Afd, e tra le fila dei Conservatori e Riformisti Europei, accanto a Diritto e giustizia (PiS), il partito-regime polacco e, dallo scorso anno, anche a Fratelli d’Italia, gli altri due.

Dopo aver tentato invano la strada di un’allenza diretta con Viktor Orbán ed aver incontrato, con le medesime intenzioni, lo scorso gennaio a Varsavia il suo omologo polacco, il ministro degli Interni Joachim Brudziski, esponente di primo piano del partito nazional-cattolico fondato dai fratelli Kaczyski, il leader leghista sembra alla ricerca di una nuova strategia. Se con Orbán si tratterà di aspettare l’evoluzione naturale delle cose, «dopo le europee il Fidesz deciderà se restare nel Ppe o se il nostro posto è invece in una nuova alleanza con nuovi partiti», ha spiegato recentemente il premier magiaro, sui rapporti con i polacchi sembra pesare l’ombra di Putin, sostenuto dalla Lega ma osteggiato da Varsavia.

Allargare l’alleanza delle nuove destre ad altre formazioni, fino ad ora assenti dai radar leghisti, tentando nel frattempo di «svuotare» i gruppi rivali a Bruxelles, potrebbe perciò rappresentare una strategia alternativa, in attesa che il voto di fine maggio produca una ricomposizione del quadro politico europeo.

NEL CORSO DI UN’INTERVISTA rilasciata ieri a Euronews, Marine Le Pen ha spiegato di puntare ad una «vasta alleanza dei difensori della nazione» e di aver chiesto in questa prospettiva proprio a Salvini di «cercare nuovi alleati in tutte le capitali europee». Questo perché se il nome di famiglia della politica francese è difficilmente spendibile all’estero, Salvini è invece visto come una sorta di enfant prodige da tutta la nuova destra europea.