La chiamarono «la seconda superpotenza mondiale»: il 15 febbraio 2003 milioni di persone scesero in piazza in quasi tutti i paesi del pianeta per dire no alla guerra di Bush, Blair e valvassori contro l’Iraq. Dopo molti anni, oggi è il movimento dei giovani per il clima e per un’esistenza futura a invadere strade, piazze e conferenze.

Il raggiungimento di zero emissioni è impossibile senza mettere totalmente in discussione il complesso militar-industriale (armi, eserciti, basi) e il suo risultato più tragico: le guerre di aggressione, responsabili di devastazioni umane e ambientali. Carri armati e cacciabombardieri fanno guerra anche al clima.

EPPURE, l’argomento bellico non è solo nascosto sotto il tappeto nei negoziati intergovernativi al capezzale del clima, manca anche nel nuovo movimento di massa, che potrebbe dare molto eco-carburante umano al pacifismo.

«IL SETTORE militare non solo inquina ma contamina, trasfigura, rade al suolo. Il destino della Terra e del mondo è nelle mani delle armi», scrive l’ecopacifista e docente universitario in California Barry Sanders in The Green Zone. The Environmental Costs of Militarism (2009), sostenendo che le attività dell’esercito Usa contribuiscono da sole ad almeno il 5% delle emissioni di gas serra totali. «È tempo di spezzare questo circolo: farla finita con le guerre per i combustibili fossili, e con l’uso dei combustibili fossili per fare le guerre», sintetizzava l’appello «Stop the Wars, stop the warming» lanciato dal movimento World Beyond War (Wbw) nel 2015.

Leggiamo nel rapporto Demilitarization for Deep Decarbonization dell’International Peace Bureau (Ipb): «L’80-90% dei combustibili fossili dovrebbe rimanere sottoterra per sempre», dunque «tutto quello che viene estratto andrebbe usato per la transizione a un sistema a zero emissioni, non per i militari». Anche le spese militari (oltre 1.700 miliardi di dollari a livello mondiale, in Italia 80 milioni di euro al giorno) sono risorse sottratte alla riconversione a un’economia equa ed ecologica.

SECONDO lo studio Pentagon Fuel Use, Climate Change, and the Costs of War (giugno 2019, scaricabile in pdf), il consumo di combustibile nelle guerre Usa dal 2001 si traduce nell’emissione di 1,2 miliardi tonnellate di gas serra (CO2 equivalente). Stime che non comprendono lo zaino ecologico e climatico della produzione di armi, e l’impatto sul clima e sull’ambiente delle distruzioni belliche di infrastrutture, case, servizi. Tutto da ricostruire.

I MILITARI (Pentagono e Nato) e il grande business, di clima si preoccupano, parlano di impegno green, ma non certo per produrre meno armi e fare meno guerre. Pensano forse a cacciabombardieri a pannelli solari, carri armati a idrogeno e ricostruzione con paglia e canapa? Il saggio The Secure and the Dispossessed. How the Military and Corporations are Shaping a Climate-Changed World (Pluto Press) curato da Nick Buxton e Ben Hayes illustra le strategie del settore militare e delle multinazionali per gestire i rischi (anche con operazioni di geoingegneria per controbilanciare le emissioni). Il fine è proteggere pochi in nome della sicurezza escludendo i non privilegiati.

LE ATTIVITÀ militari sono responsabili anche di molte forme di inquinamento e danni alla salute delle popolazioni nelle aree interessate. I casi riconosciuti di tumori e di decessi causati dall’uranio impoverito che hanno colpito i soldati italiani in servizio in aree belliche hanno superato i 300. Poco o nulla si sa sull’aumento di tumori e malattie a danno delle popolazioni vittime degli indiscriminati attacchi militari, e che ovviamente non hanno canali per ricorrere alla giustizia o ottenere risarcimenti. Non meno grave è l’occupazione di territori che dovrebbero essere adibiti a coltivazioni o altre attività umane utili, e che invece rimangono gravemente e permanentemente contaminati dalle attività militari. Si pensi, in Italia, alla Sardegna.

E POI, IL NUCLEARE militare. La fine della civiltà umana con lo sconvolgimento del clima potrebbe avvenire a causa di una «scorciatoia»: una guerra nucleare, anche con l’uso di un numero ridotto delle armi nucleari ancora esistenti (quasi 15.000) e operative (quasi 5.000), insieme a miliardi di vittime e distruzioni immani causerebbe per la sola emissione di polveri e detriti un drastico oscuramento e conseguente raffreddamento dell’atmosfera terrestre, un «inverno nucleare» con gravi danni all’agricoltura e drammatiche carestie. Il governo italiano firmerà e ratificherà il trattato per la proibizione delle armi nucleari approvato nel 2017 dall’Onu?