Giornalista e filmmaker russa, Tania Rakhmanova ha indagato la memoria e l’attualità del suo paese attraverso documentari e inchieste, da La revanche des Romanov (1998) a Au coeur du pouvoir russe (2014) fino a Europe in Chaos (2019), per non citare che alcune delle sue numerose opere.

Come sta vivendo queste giornate, l’invasione dell’Ucraina e le proteste che si svolgono in Russia contro Putin?
Anche se abito a Parigi, mi reco spesso a Mosca e sono in contatto costante con famigliari, amici e colleghi che abitano lì. Posso dire che le manifestazioni contro la guerra che si stanno svolgendo in questo momento hanno davvero una grande importanza, come l’intera mobilitazione che cresce attraverso i social che sono lo strumento principale dove si sviluppano dibattiti e confronti in seno alla società russa. Pur trattandosi di proteste auto-organizzate, il numero delle persone che stanno scendendo in piazza continua a crescere malgrado gli arresti e la paura, perché si deve tener presente che finire nelle mani della polizia può rivelarsi davvero molto pericoloso in Russia. Ma sono sicura che l’opposizione alle scelte di Putin crescerà ancora.

La giornalista e filmmaker Tania Rakhmanova

Più in generale, come è percepita questa guerra dai russi?
Come mi ha fatto osservare un amico moscovita: «Per noi sentire che stanno bombardando l’Ucraina è un po’ come sapere che bombardano la periferia di Mosca». Si tratta di un paese indipendente, ma i legami tra russi e ucraini sono fortissimi e profondi, spesso anche famigliari, e questo pesa molto sul giudizio negativo che in tanti esprimono su questa invasione. È sempre difficile dire cosa pensano i miei concittadini, ma credo si possa affermare che almeno la metà della popolazione è contraria. L’istituto ufficiale di sondaggi ha detto che il 75% dei russi sta con Putin, ma sapete come funziona la cosa: squilla il telefono e vi chiedono se sostenete o meno la politica del presidente. E in un contesto dominato dalla paura non credo che in molti si sentano liberi di dire ciò che pensano.

Nelle sue inchieste ha spiegato come i media russi siano controllati dal potere: come stanno raccontando questa guerra?
I media in Russia significano principalmente la televisione. E su questo fronte la situazione è catastrofica. Nelle foto di Putin che circolano in questi giorni, più d’una lo mostra seduto ad un tavolo accanto ad un telefono dell’epoca di Breznev e, invece, ad un enorme schermo tv ultrapiatto e di ultima generazione. Lui ha puntato tutto sulla televisione. I russi che si informano solo attraverso questo strumento hanno accesso solo alla versione del Cremlino, ma quel che è peggio è che credo che anche Putin ascolti solo quella voce, vale a dire la sua stessa propaganda. Perciò non c’è differenza, o quasi, in questo momento tra guardare un tg o ascoltare Putin su quanto accade in Ucraina.

In occasione della guerra in Cecenia ha spiegato la strumentalizzazione della vicenda da parte di Putin. Con l’invasione dell’Ucraina qual è l’obiettivo interno del Cremlino?
Credo che la situazione economica russa sia talmente grave, e Putin del tutto incapace di migliorarla, che una guerra rappresenti un fantastico diversivo a cui attribuire ogni malessere presente nella società. Senza contare che questo per Putin rappresenta anche una sorta di test: da un lato del sostegno che potrà trovare d’ora in poi presso i cinesi, dall’altra di fin dove si potranno spingere europei e americani con le sanzioni o altro. Inoltre tra i russi c’è anche chi pensa che Putin sia sempre meno lucido e che dopo due anni di isolamento a causa del Covid abbia ormai attraversato definitivamente la «linea rossa» della ragione.

Nel discorso che annunciava l’invasione, Putin ha fatto riferimento all’eredità zarista, in precedenza aveva evocato Stalin e la tradizione ortodossa: quanto pesano questi riferimenti e che accoglienza trovano tra i russi?

Ad essere sincera credo che Putin non creda in nulla, se non al potere. Certo, utilizza tutti questi riferimenti per sostenere le sue scelte e trova ascolto in una parte della popolazione che vive male l’idea che il Paese abbia perso il suo status di potenza. Si deve però anche tener presente che il nazionalismo, quando c’è, riguarda solo una parte della popolazione. Del resto è difficile parlare di un solo popolo guardando alla Russia: pensate a cosa possa interessare a chi vive in Siberia di ciò che accade oggi in Ucraina, a più di 4mila km«di distanza. Ciò detto, ritengo che Putin sia soprattutto preoccupato della propria sorta. Sa bene che non potrà “godersi la pensione» come Gorbaciov che vive tranquillo a Mosca. Per Putin la prospettiva è diversa: lasciato il Cremlino rischia di finire davanti al tribunale dell’Aja. Nella sua autobiografia («Prima persona: un autoritratto sorprendentemente franco», non tradotto in italiano, ndr), pubblicata per le presidenziali del 2000, racconta quello che lui stesso considera un evento decisivo della propria vita: quando era adolescente nella cantina del palazzo dove viveva a San Pietroburgo stava dando la caccia ai topi fino a quando uno di questi, stretto in un angolo, lo attaccò. Ecco, Putin si comporta come qualcuno che è stato messo all’angolo e reagisce attaccando. E le posizioni espresse di recente da Biden, che pensava soprattutto all’opinione pubblica americana, non l’hanno spinto a vedere diversamente le cose.

Lei ha indagato a lungo il sistema di potere russo. Un gruppo ristretto composto da oligarchi ed ex agenti di Kgb e Fsb. Come funziona ciò che ha definito come «l’impero Putin»?
Nel cuore del potere russo ci sono solo figure legate personalmente a Putin, amici, ex colleghi, persone che hanno dei vincoli con lui. Perciò l’idea, talvolta evocata dagli osservatori stranieri, che dal suo entourage possa venire ad un certo punto una spinta per estrometterlo dal potere, sembra poco credibile. Tutto si basa sulla paura e su un controllo strettissimo della società, attraverso le forze dell’ordine e i servizi. Manca invece qualsiasi indirizzo per l’amministrazione e lo Stato: sanno arrestare chi manifesta ma non intervenire sulla politica economica. Prima c’erano il racket e il banditismo ora tutto ciò si è trasferito ai vertici dello Stato: corruzione e paura dominano la scena.