Con il suo consueto umorismo flemmatico Frédérick Fonteyn scombina il sommesso scorrere della vita del suo paese, il Belgio, stabilendo come punto di partenza la maniacale precisione di alcuni suoi connazionali, la convenzionalità della vita quotidiana e scaraventandola poi in una situazione esplosiva. Uomo preciso Jean-Cristophe (François Damien),è attento a fermarsi al semaforo rosso che scatta in aperta campagna. Ma è anche un uomo dedito moderatamente al piacere, infatti timidamente partecipa alla scuola di tango, quella danza che fa tanto scalpore nei paesi nordici forse per la promessa implicita di scardinare un po’ la repressione. Certo non succede molto a J.C., tranne un debole interesse per la sua partner occasionale di danza (Anne Paulicevich, anche sceneggiatrice del film). Poi la vede seduta nel parlatorio del carcere insieme a due pericolosi assassini in atteggiamento assai confidenziale con l’uno e con l’altro. Di uno è la moglie, dell’altro l’amante. J.C. infatti, scopriamo, è una guardia carceraria e da questo momento tutta la situazione gli sfugge. I due galeotti vengono a sapere della scuola di tango ed esplode la gelosia, ma Fernand, il catalano (Sergi Lopez) si attiva, cerca in carcere un argentino che possa insegnargli il tango.

Figurarsi come la prendono nell’ambiente. E dopo parecchio tergiversare l’argentino accetta di mostrare cosa sa fare, ma offre ai compagni e alle guardie attonite uno spettacolo di machismo travolgente. Non si tratta della languida danza da balera, ma di un grido di dolore, danza di guerra, passione violenta per ciò che si è perduto, inno alla libertà, tango libre. Come quello che ballavano gli immigrati italiani tra di loro all’inizio del secolo nei locali malfamati del porto di Buenos Aires, imitato dal suono del «tambor», del tamburo che sentivano battere ritmicamente dall’altra sponda nelle danze degli africani presenti nella società argentina, ma sempre cancellata nella storia ufficiale.

E a ballarlo non è un semplice detenuto argentino, ma Chico Frumboli, l’inventore in persona del «tango nuevo», esponente della nuova generazione che si è infine riconciliata con uno dei miti argentini (i giovani non volevano più sentire parlare di tango) sbarcato in Europa alla fine degli anni ’90 con una serie di tournée di clamoroso successo. L’abile abbraccio di Frédéric Fonteyne sostiene lo spettatore, lo diverte, lo fa sognare, lo scuote. Sempre con quella sensazione di trasgressione applicato al tango come si balla nei paesi nordici: ricordate lo stupore di Sally Potter in Lezioni di tango, il suo impegno calvinista nel doverlo imparare alla perfezione?. E allo spettatore italiano può comunicare parecchie storie dei suoi antenati.