«L’Italia si fa strada» recita l’ultimo slogan di Anas spa. In realtà a farsi largo in questi anni, sfrecciando negli uffici romani di via Montebello, sarebbero state per lo più mazzette e prebende. Tanto che il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone dice che di fronte alle risultanze dell’inchiesta «la sensazione è deprimente vista la quotidianità della corruzione».
In tutto sono trentuno gli indagati coinvolti in quella che, per la procura di Roma, sarebbe una vera e propria cellula criminale, costituita da dirigenti e funzionari «corrotti» di Anas, che, abusando dei propri poteri, è riuscita ad ottenere utilità e provviste corruttive da imprenditori, titolari di società di rilievo nazionale, in alcuni casi con l’intervento di un colletto bianco (un avvocato del foro di Catanzaro) e un politico.

È proprio la politica il cemento di quest’inchiesta che ha terremotato Anas. Un po’ perché permea tutta la vita di Gigi Meduri, il nome più altisonante tra quelli coinvolti. Un po’ perché, sullo sfondo dell’arresto della principale indagata, Antonella Accroglianò detta dama nera, ci sarebbe una richiesta specifica: voti in cambio di favori. Voti da indirizzare al fratello, Galdino Accroglianò, candidato non eletto (ha riportato circa 1.300 preferenze) alle regionali dello scorso novembre nella lista Udc a sostegno dell’attuale presidente calabrese, Mario Oliverio (Pd). Un «sistema criminogeno, specializzato e consolidato da anni», avrebbe gestito un ufficio dell’Anas. Con al centro una vera e propria cricca di calabresi guidata da Antonella Accroglianò, dirigente responsabile del coordinamento tecnico amministrativo di Anas, deus ex machina del sodalizio.

I reati contestati vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione per l’esercizio della funzione e per atto contrario ai doveri di ufficio, dall’induzione indebita a dare o promettere utilità al voto di scambio. La condotta illecita si sarebbe concretizzata, secondo l’accusa, nello sblocco di contenziosi con l’Anas, nella velocizzazione delle pratiche inerenti i relativi pagamenti, nella disapplicazione di penali e, ancora, nel favorire l’ottenimento di fondi illecitamente maggiorati. In altre parole, secondo le indagini i dipendenti pubblici si sarebbero esclusivamente occupati di favorire «l’interesse particolare di imprenditori con cui, per ragioni d’ufficio, si interfacciavano, a completo discapito dell’interesse generale, riguardante la corretta edificazione di opere pubbliche strategiche per la collettività». E gli imprenditori non erano gente qualunque. Ma l’intero gotha dell’edilizia italiana: Vidoni spa, Ricciardello Costruzioni srl, Tecnis spa, De Santis Costruzioni srl, Cogip infrastrutture spa. Pienamente coinvolto nel meccanismo corruttivo è, secondo l’accusa, Meduri, arrestato ieri all’alba.

Già presidente della Calabria dal gennaio 1999 all’aprile 2000, ex deputato della Margherita e sottosegretario alle Infrastrutture del governo Prodi dal maggio 2006 a giugno 2008, quando ministro era Di Pietro, Meduri viene rappresentato dalla Gdf come un «oscuro faccendiere che, da un lato, sosteneva le illecite richieste degli imprenditori e dall’altro, si interessava per la corresponsione di indebite provviste di denaro da parte di questi ultimi in favore dei dipendenti pubblici investigati».

Sempre secondo l’accusa Meduri sarebbe stato «l’interfaccia politica nella raccolta di pacchetti di voti» per sostenere la candidatura del fratello della dama nera: la contropartita della mancata elezione sarebbe stato un importante incarico in una partecipata della Regione. E qui tra le carte spunta anche il nome di Oliverio. Perché Meduri in un incontro con gli Accroglianò, intercettato dagli investigatori, chiese a Galdino di scegliere nel Burc (Bollettino ufficiale della Regione Calabria) l’incarico che più gradiva, perché «della questione – appuntano gli investigatori – (Meduri, ndr) affermava di aver già parlato con tale Mario che potrebbe identificarsi, con ragionevole certezza, in Mario Oliverio. governatore della Regione Calabria».

Un’ipotesi che sarebbe confermata – sottolineano in procura – da una telefonata intercettata qualche settimana dopo, quando Meduri telefonò alla dama nera per chiederle un appuntamento urgente, perché «mercoledì ci dobbiamo vedere che viene Mario».

Non è dato sapere se e in che misura la richiesta avanzata a «Mario» abbia avuto corso. Quel che emerge però è l’assoluta disinvoltura con cui un ex sottosegretario dispone della res publica e degli incarichi a essa connessi come se fossero cosa privata. D’altronde, per gli inquirenti si trattava di una vera e propria «cellula criminale» che aveva un «diffuso rapporto di connivenza in tutta Italia» e che avrebbe utilizzato metodi tipici dei contesti mafiosi, come i pizzini, per scambiarsi le informazioni tra imprenditori e funzionari pubblici corrotti, «in modo da non lasciare traccia di quelli che erano gli accordi corruttivi». E che utilizzava un linguaggio criptico nei passaggi di denaro: le tangenti erano chiamate a turno «ciliegie», «antinfiammatori» e «topolini». Insomma, un sistema collaudato e scientifico, a quanto pare tutt’altro che episodico.