Massimo Antonelli ha giocato a basket dal 1975 al 1978 nella Virtus Bologna in Serie A1 con la quale ha vinto uno scudetto, in A2 dal 1978 al 1980 con il Basket Mestre e dal 1981 al 1985 con la Seleco Napoli, dove ha chiuso la carriera. Nel 2016, a Castel Volturno (Caserta), ha fondato una società sportiva riservata ai ragazzi africani. I riflessi economici del coronavirus potrebbero avere esiti letali su questa realtà che promuove lo sport come inclusione sociale (https://tamtambasketball.org/it/ ) con buoni risultati agonistici.

Perché hai fondato Tam Tam?
Quando ho chiuso la carriera da professionista con alcuni amici abbiamo fondato Tam Tam Basketball a Castel Volturno, una città dove sono rappresentate circa il 50% delle nazionalità dell’Africa. Abbiamo rivolto l’attenzione ai figli degli immigrati africani, perché nessuno di loro ha mai fatto sport, i loro genitori, impegnati nei campi dall’alba al tramonto non possono non possono seguirli e neppure permettersi di pagare la retta di iscrizione. I nostri corsi sono gratis.

Come avete iniziato?
Il 22 di ottobre del 2016, alcun decine di ragazzi africani sono entrati per la prima volta al villaggio Coppola per fare sport in una palestra scolastica. Ricordo che facevano un casino tremendo, non avevano il senso della disciplina da tenere durante un allenamento, non riuscivo a gestire la situazione, nonostante avessi tenuto migliaia di corsi in tutto il mondo. Mi rivolsi a un’amica psicologa dello sport, che seguì una seduta di allenamento. Osservò e dopo un’ora andò via. Quando rientrai a casa le telefonai e mi disse che i ragazzi erano indisciplinati perché pazzi di gioia. Agli allenamenti si presentavano sempre in ritardo, perché dalla scuola, dove frequentavano il tempo pieno, venivano a piedi, nessuno li accompagnava. Nella mia vita di professionista gli orari degli allenamenti erano sacri, quei ritardi di 30-45 minuti mi irritavano, ma li consideravo un compromesso tra la mia e la loro vita. Un giorno Victor si presentò con un’ora e mezza di ritardo, lo ritenni ingiustificabile e piuttosto irritato chiesi spiegazioni: «Sono passati due pulmann – mi disse – ma c’erano i controllori e ho aspettato il terzo per salire, non avevo i soldi per il biglietto».

Che cosa hai pensato?
In quel momento ho pensato che il progetto dell’associazione da strettamente sportivo, come lo intendevamo, sarebbe dovuto diventare sociale. Decidemmo di estendere la gratuità non solo al basket ma anche all’abbigliamento sportivo, alle visite mediche. In palestra alcuni calzavano spesse pantofole invernali, altri scarpe con le suole aperte o con il carrarmato sotto e il pelo all’interno. Lanciammo un appello e arrivò materiale da ogni parte d’Italia. Poco dopo la preside della scuola ci comunicò che non potevamo più usare la palestra, perché iniziavano i corsi sportivi pomeridiani per gli studenti. Non avevamo altri spazi, ci prese il panico.

Come avete fatto?
Qualcuno mi disse che in riva al mare c’era uno spazio asfaltato abbandonato, senza canestri, ricoperto di erbacce e sabbia. In due giorni lo rendemmo agibile. Erano i primi di marzo, pensai che in riva al mare con il freddo i ragazzi avrebbero abbandonato gli allenamenti, invece aumentarono di numero. Un giorno cominciò a piovere e si infittì sempre più, il terreno era diventato scivoloso, ma loro imperterriti continuarono a giocare, mentre io mi riparai sotto una tettoia e un po’ mi vergognai. In quel momento capii che il testimone della mia passione per il basket era passato a loro.

Massimo Antonelli

Durante l’estate restano a casa?
Partecipano al Day Camp, è il più atteso dell’anno. Oltre a fare l’intera giornata sul campo di basket sotto il sole cocente, ci sono dei momenti di relax in mare. Alcuni all’inizio avevano paura di scoprirsi non volevano togliersi la maglietta, il contatto con i compagni, la situazione collettiva, la crescita dell’autostima attraverso lo sport, ha favorito la scomparsa di certi tabù.

Partecipate al campionato?
Due anni fa ho iscritto la squadra al campionato di basket under 15, ma arriva subito la doccia fredda: non possono giocare più di due stranieri per squadra. I nostri ragazzi in quanto figli di africani non sono considerati italiani, sono tutti stranieri. A noi sembrava paradossale che la scuola li accogliesse e lo sport li escludesse. Era una cosa atroce. Nel giro di pochi giorni la notizia attirò l’attenzione dei media nazionali. I dirigenti dello sport italiano ci consentirono di giocare grazie a una deroga. Dopo due mesi nella legge di Bilancio il governo italiano inserì la norma detta «salva Tam Tam», che consentiva a qualsiasi straniero minorenne, che vive sul territorio italiano da almeno un anno e frequentava la scuola, di essere considerato nello sport come gli italiani. Quella norma che stilammo noi, permette oggi a 800 mila minorenni stranieri di partecipare ai campionati sportivi.

Hai ricevuto riconoscimenti?
Una mattina dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere mi telefona un magistrato. Pensai che uno dei miei ragazzi avesse combinato qualcosa di grave, invece era l’allenatore della nazionale di basket dei magistrati e volevano fare una partita contro di noi per dare un segnale di legalità in una zona nelle mani della camorra.

La comunità ganese della provincia di Caserta, attraverso una raccolta fondi tra i connazionali, organizza ogni anno una festa in cui si balla, si canta e si mangia. Un giorno il capo della comunità mi disse che rinunciavano alla festa e i soldi raccolti li davano a noi per pagare l’iscrizione ai campionati.

Avete raggiunto risultati significativi?
Il 16 giugno del 2019, la squadra under 15 ha vinto il campionato regionale campano di basket. L’impegno e la costanza portano a grandi risultati anche in breve tempo. La norma dei due stranieri per squadra è stata riproposta quest’anno e i miei ragazzi non possono più giocare. Abbiamo fatto ricorso al Tar, ma non è stato accolto. Arrivano sempre più bambini africani, ma non possiamo accogliere tutti, non abbiamo impianti sportivi e il dopo coronavirus rende incerto il nostro futuro.