I Talebani annunciano tre giorni di tregua «affinché i nostri compatrioti possano celebrare in pace» l’Eid ul-fitr, la fine del Ramadan. Così recita il comunicato pubblicato sulla Voce del jihad, il sito ufficiale del cosiddetto Emirato islamico d’Afghanistan.

L’ANNUNCIO ARRIVA quando a Kabul e in tutto il Paese ancora si piangono le vittime – salite a 85, secondo uno dei portavoce governativi – del terribile attentato contro la scuola Sayed ul-Shahada, nel quartiere sciita Dasht-e-Barchi della capitale, già obiettivo nei mesi e negli anni passati di sanguinosi attentati rivendicati dalla «Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico.

Un attore entrato tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 nella partita afghana, che a lungo ha avuto la propria roccaforte militare nella valle di Achin, nella provincia orientale di Nangarhar, prima di essere allontanato con una serie di operazioni militari nell’inverno 2019, alle quali hanno contribuito l’esercito afghano, le forze speciali Usa e, anche se tacitamente, i Talebani.

I Talebani annunciano la tregua per rispondere alla crescente pressione della società afghana. Ribadiscono di non avere nulla a che fare con l’attentato che ha interrotto la vita di decine e decine di bambine e adolescenti. Qualcuno non gli crede. Qualcuno sì, ma anche tra questi ultimi c’è chi gli attribuisce la responsabilità indiretta, a causa del conflitto che prosegue.

I TALEBANI VOGLIONO rassicurare, almeno in parte, gli afghani. Rientrano nella stessa strategia i messaggi inviati dai portavoce nelle ultime ore: «L’Emirato islamico ha bisogno di studiosi competenti, intellettuali, figure politiche che sostengano e promuovano il governo futuro». E poi: assicuriamo «i commercianti e gli investitori che non solo le loro vite e la loro salute verranno protette, ma che verranno predisposte le necessarie opportunità per le loro attività».

E infine: «L’educazione è importante per le future generazioni e per la prosperità nazionale. Una nazione può prospettare ottenere la conoscenza». Vale lo stesso per la liberazione di pochi soldati governativi dalle prigioni del movimento a Kandahar, Uruzgan e Farah, sempre in occasione del Ramadan.

Ma ai Talebani importano anche le cancellerie straniere. Da Islamabad a Washington, le settimane scorse sono piovute pressioni su pressioni affinché tornassero a sedersi al tavolo negoziale, dopo lo «strappo» successivo all’annuncio del presidente statunitense Biden.

CHE HA DECISO di seguire la strada del ritiro indicata dal predecessore, Donald Trump, ma posticipandone il completamento di circa quattro mesi, dal primo maggio previsto inizialmente da un accordo firmato a Doha nel febbraio 2020 all’11 settembre 2021. A causa del posticipo – una rottura dell’accordo – i Talebani hanno fatto saltare la conferenza internazionale prevista a Istanbul lo scorso fine aprile. Ma ora tornano a cedere qualcosa.

Sperando di ottenerne in cambio la liberazione di altri detenuti e la «spunta» dei nomi della leadership dalle liste nere dell’Onu. In queste ore subiranno altre pressioni per prolungare la tregua. Forse cederanno di qualche giorno. Difficile che rinuncino del tutto alla violenza, accettando l’ipotesi di una cessate il fuoco prolungato, richiesto a gran voce dalla società afghana.

Hanno anche preoccupazioni interne, per non farlo. Nel loro comunicato, così come nelle direttive impartite ai militanti sul terreno, le indicazioni sono chiare: interrompete le operazioni offensive, ma siate pronti a rispondere a ogni attacco. E non vi recate nei territori controllati dal governo.

È UN MODO PER scongiurare l’emersione di spinte centrifughe dentro il movimento, la frammentazione di un gruppo che finora si è tenuto unito grazie a un obiettivo chiaro e comune: cacciare gli occupanti.

Ora che gli occupanti tolgono le tende, cosa sarà del movimento? È il punto sottolineato dal presidente Ashraf Ghani in un recente articolo su Foreign Affairs, in cui per la prima volta si è detto disposto a rinunciare all’intero mandato, se utile per la pace. Ai Talebani Ghani chiede: avete sempre detto che l’obiettivo è combattere gli stranieri. Ma ora, come legittimate la guerra?

LA LEADERSHIP TALEBANA sa che la transizione è rischiosa anche per il movimento. Per ora, sperano di incassare il plauso della comunità internazionale per questi tre giorni che offrono soltanto una breve cornice di respiro alla popolazione. L’obiettivo vero, ha dichiarato Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio di pace, è una tregua prolungata e un tavolo negoziale che conduca alla fine del conflitto per via politica.

Ma il percorso – riconosce lo stesso Ghani che ieri ha ricevuto a Kabul il capo dei servizi segreti militari di Islamabad, il generale Faiz Hameed, e il capo dell’esercito, il generale Qamar Javed Bajwa – è tutto in salita.