Le ambasciate degli Stati Uniti e dei Paesi europei evacuano in tutta fretta il personale, mentre il presidente Ashraf Ghani, sempre più pressato affinché si dimetta, punta le sue ultime carte su Abdul Rashid Dostum e Atta Mohammad Noor, due ex signori della guerra che per anni ha combattuto politicamente.

A LORO È AFFIDATA la resistenza intorno alle due città-bastione rimaste sotto il controllo governativo, Mazar-e-Sharif, nella provincia settentrionale di Balkh, a lungo governata proprio da Noor prima di lunghi dissidi con lo stesso Ghani, e Kabul, la capitale dove qualcuno dice che i Talebani abbiano cominciato a infiltrarsi.

Sono ore di drammatica incertezza per il popolo afghano. Incredulo di fronte alla facilità con cui i militanti islamisti hanno sbaragliato le forze di sicurezza della Repubblica islamica d’Afghanistan, l’architettura istituzionale nata sulle ceneri dell’Emirato, il regime dei Talebani rovesciato nel 2001 dai bombardieri Usa. Venti anni dopo, i bombardieri americani volano ancora sui cieli afghani e sganciano bombe che non riescono più a trattenere l’avanzata degli studenti coranici.

Dopo aver conquistato giovedì due città strategiche come Herat e Kandahar, nelle ultime ore la lista dei capoluoghi controllati dagli uomini di Haibatullah Akhundzada si è allungata ancora: occupate anche le città di Qala-e-Now (Badghis), Lashkargah (Helmand), Pul-e-Alam (Logar), Tarin Kot (Uruzgan), Qalat (Zabul), Feroz Koh (Ghor). La veloce avanzata dei Talebani è iniziata tra metà aprile e inizio maggio, quando il presidente Joe Biden ha confermato il ritiro incondizionato delle truppe, che verrà completato entro il 31 agosto, anche se Washington ha deciso di inviare circa 1000 soldati per garantire l’evacuazione del personale civile e diplomatico statunitense.

NELLE PROSSIME SETTIMANE si capirà meglio se e quanto nella disfatta governativa abbiano contato anche eventuali accordi bilaterali sottobanco, tra i Talebani e qualche leader politico locale. Ma l’avanzata ha avuto successo perché fondata su una strategia militare di più lungo respiro e perché sono pochi i funzionari civili e i militari disposti a sacrificarsi per istituzioni fragili, corrotte, prive del sostegno della popolazione, in piedi soltanto grazie al supporto politico, militare, finanziario di attori esterni. È uno dei paradossi degli Stati-rentier, quegli Stati che si reggono su gambe altrui: la classe politica prospera a lungo, drena risorse destinate alla popolazione, crede di poter contare all’infinito sul sostegno esterno, poi quando arriva il momento di esercitare sovranità si guarda indietro e capisce di essere sola. Sbanda, vacilla, implode.

HA VACILLATO Ismail Khan, leader jihadi, protagonista della resistenza anti-sovietica, poi governatore e dominus della provincia di Herat, dove nelle settimane scorse aveva capeggiato le milizie anti-talebane. Ieri avevamo riportato i rumors che lo davano in fuga, verso Kabul. Oggi sappiamo che, prima di poter volare verso la capitale con un elicottero militare, è stato fermato dai Talebani insieme al vice ministro degli Interni, il generale Rahman, al capo dei Servizi segreti di Herat e al capo della polizia provinciale. Tutti finiti nelle mani dei Talebani.

ANCORA NON VACILLA, invece, il presidente Ghani. Nonostante le richieste di dimettersi, a dispetto delle voci che lo danno con la valigia in mano, per ora sembra tenere il punto. Resta da capire quanto a lungo potrà continuare a farlo. Il Dipartimento di Stato Usa nei giorni scorsi ha dovuto smentire ufficialmente le voci secondo cui Washington gli avrebbe chiesto di farsi da parte. Ghani è la bestia nera dei Talebani e di Islamabad. Fino a quando ci sarà lui all’Arg, il palazzo presidenziale di Kabul, nessun vero compromesso è possibile, ripetono dal Pakistan.
Il guaio è che, anche senza di lui, non è detto che i Talebani siano davvero disposti a trattare, come dicono.

Ma un tentativo va fatto. E nella classe politica ci si interroga sul come silurare l’uomo che dice di rappresentare il carattere repubblicano delle istituzioni. Per ora, Ghani e il suo fidato vice-presidente, l’ex capo dei servizi segreti Amrullah Saleh, dicono di voler resistere fino alla fine.

IL CONSIGLIO MILITARE ha ufficialmente affidato il coordinamento delle forze di mobilitazione e di resistenza «popolare» ad Atta Mohammad Noor, con il contributo del maresciallo Dostum. A loro il compito di fermare l’avanzata dei Talebani. Che rassicurano di non voler nuocere ai diplomatici stranieri. Ma a Wazir Akbar Khan, il quartiere delle ambasciate, si evacua.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi in una telefonata con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha assicurato che l’Italia garantirà la sicurezza del nostro personale. Già con le valigie pronte.