Quattro no. L’amministrazione di Tsai Ing-wen esulta per l’esito dei quattro quesiti referendari. In particolare, tira un sospiro di sollievo per la mancata reintroduzione del bando all’importazione di carne di maiale contenente ractopamina, additivo utilizzato dagli allevatori degli Stati Uniti e vietato in Unione europea, Cina e Russia. Quell’additivo è finito al centro di una disputa geopolitica.

NELL’AGOSTO 2020, nell’ultima aggressiva fase della permanenza di Donald Trump alla Casa Bianca, Taipei aveva deciso di consentire le importazioni di carne suina dagli Stati Uniti nonostante le perplessità sulle possibili conseguenze sanitarie. Il via libera era stato presentato come una sorta di conditio sine qua non per rafforzare i legami commerciali (e non) con Washington. Tesi ribadita anche durante la campagna referendaria, con Tsai che ha dichiarato che la vittoria dei «sì» avrebbe compromesso l’ingresso nel Cptpp. Il «no» ha vinto con 4,1 milioni di voti, contro i 3,9 milioni di sì. Ma a vincere è stato anche l’astensionismo, visto che si è recato alle urne solo il 41% degli aventi diritti voto. Anche se ci fossero stati più «no» non sarebbe bastato, visto che per far passare un quesito referendario serve almeno il 25% dei voti degli aventi diritto, poco meno di cinque milioni.

BOCCIATA anche la richiesta di bloccare l’operatività di un sito estrattivo di gas naturale liquefatto nella costa della contea di Taoyuan, che secondo le critiche rischia di compromettere la salute della barriera corallina di Datan. Niente da fare neppure per la proposta di riattivare la centrale nucleare di Lungmen, nell’area di Nuova Taipei. Il quarto quesito proponeva invece la reintroduzione dell’election day, con i futuri referendum calendarizzati insieme alle elezioni locali. Anche qui hanno vinto i «no», come chiedeva il governo, che aveva operato la scissione nel 2019 dopo che nel 2018 era rimasto scottato alle elezioni locali, coincise con una debacle politica che si era riflessa anche sul voto per i referendum.

TSAI HA COMMENTATO i risultati sottolineando che il governo «ha a cuore anche le opinioni di chi ha votato a favore dei referendum e cercherà di continuare a comunicare col pubblico sulle sue politiche», aggiungendo che la sicurezza alimentare e quella ambientale non saranno intaccate. Ma la campagna referendaria è stata caratterizzata da una divisione netta con i due partiti principali schierarsi in maniera manifesta l’uno contro l’altro. Postura che ha reso i referendum una sorta di test politico.

IL PARTITO DEMOCRATICO progressista ha portato la discussione sul territorio che lo favorisce maggiormente, quello identitario. Un «no» alla carne suina statunitense significava dunque fare un favore a Pechino. Si è insistito per esempio sul fatto che senza l’import dagli Usa si sarebbe dovuti ricorrere alla carne cinese, anche se in realtà oltre il 90% dei consumi deriva da produttori locali.

Se il risultato rafforza l’amministrazione Tsai, indebolisce ancora il Guomindang. Il principale partito d’opposizione ha da poco aperto un ufficio a Washington per provare a ristabilire il dialogo con gli Usa e rendersi così «potabile» in vista delle elezioni 2024. Ma intanto il neo presidente del partito, Eric Chu, esce sconfitto visto che non è riuscito a prevalere in neppure un quesito. Guadagna invece popolarità il sindaco di Nuova Taipei Hou Yu-ih, che si è schierato contro la posizione del suo partito sul nucleare. In molti, nel Gmd, guardano a lui come una possibile ancora di salvezza.