Festeggiamenti, gioia, commozione e orgoglio: per Taiwan quella di ieri è stata una giornata speciale, celebrata da migliaia di persone per le strade, con il sorriso stampato sulle labbra. Per la prima volta in Asia un paese riconosce i matrimoni omosessuali al termine di un percorso partito nel 2017, per quanto riguarda l’iter legislativo, ma che può contare sulla grande tradizione dell’isola nei confronti dei diritti Lgbtq+.

FIN DAGLI ANNI ’90, infatti, l’isola «ribelle» per Pechino, è considerata all’avanguardia quanto ai diritti (qui si celebrò il primo«pride» continentale) e il risultato storico non poteva che arrivare nella giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. La legge appena approvata consentirà alle coppie omosessuali di poter registrare i matrimoni a partire dal prossimo 24 maggio. Il testo di legge è stato presentato dopo la storica sentenza della Corte costituzionale nel 2017, quando venne stabilito che l’esecutivo – entro due anni – avrebbe dovuto assicurare misure legislative per garantire l’eguaglianza dei diritti alle coppie omosessuali.

LA SCADENZA era ormai vicina, il prossimo 24 maggio. «Il premier Su Tseng-chang ha chiesto ai deputati del partito di governo di sostenere la sua proposta e questo storico passo aiuterà la società di Taiwan a fare un grande progresso», ha detto la portavoce del governo Kola Yatoka, sottolineando che alcuni deputati volevano sostituire il termine matrimonio con quello di unione.

In discussione, infatti, c’erano tre proposte differenti sul tema. È stata approvata quella più «progressista e a più ampio spettro», capace di coinvolgere aspetti legati a tassazioni, assicurazioni e soprattutto riguardo i figli in custodia. In più la legge ha posto fine al nodo capace di bloccare tutto e dovuto al Codice Civile che definiva il matrimonio «esclusivamente celebrato tra un uomo e una donna».

Il fatto che tutto questo accada in Asia, non è da poco, considerando la vicina Pechino, che fino a non troppo tempo fa considerava ancora l’omosessualità una malattia mentale e considerando il recente caso del Brunei le cui norme prevedono la lapidazione per omosessualità e adulterio, benché siano state di recente congelate con la moratoria sulla pena di morte per le proteste internazionali.

GRANDE PROTAGONISTA di questa svolta è stata sicuramente l’attuale presidente, Tsai Ing-wen che si è sempre spesa, fin dalla campagna presidenziale del 2016, per questo risultato, nonostante alcune batoste elettorali e tanti problemi di natura politica interna al Partito Democratico progressista dalla cui segreteria Tsai si è dovuta dimettere a seguito delle elezioni amministrative dell’anno scorso. Nonostante queste difficoltà il partito ha sempre sostenuto la legge finendo per renderla effettiva. Il percorso – infatti – per un attimo era sembrato decisamente a rischio, specie l’anno scorso, nel 2018, quando i referendum sul tema si erano risolti in una forte opposizione alla svolta.

Un fattore che era entrato prepotentemente nella campagna presidenziale per le elezioni del 2020. A questo proposito, infatti, ieri il candidato del partito nazionalista Kuomintang (e oggi su posizioni filo cinesi) Terry Guo, fondatore del colosso dell’elettronica Foxconn (azienda divenuta famosa per i suicidi di alcuni dipendenti a metà degli anni 2000), si è detto dispiaciuto che non siano stati riconosciuti i risultati dei referendum del 2018.

Ma vista la grande partecipazione popolare per le strade, ha concluso la sua dichiarazione ufficiale sottolineando che rispetterà, in ogni caso, «quanto deciso dalla legge».