Nonostante l’ormai famigerato Atto Camera 1071 – il progetto di legge depositato alla Camera dai capigruppo di M5s (Francesco D’Uva) e Lega (Francesco Molinari) “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.000 euro mensili” – non sia disponibile sul sito della Camera, le polemiche sulle sue conseguenze aumentano. Ieri è andato in scena un botta e risposta tra il giornale Repubblica e il ministro Luigi Di Maio.

Basandosi – come noi – sulla bozza del progetto di legge, il giornale da giorni denuncia i tagli che il provvedimento comporterebbe per le categorie che sono andate in pensione prima: militari, dirigenti, donne. Mentre non colpirebbe i magistrati che potevano (e possono) rimanere al lavoro fino a 70 anni.

IN REALTÀ PROPRIO RICALCOLO (e metodo) contributivo utilizzati dal provvedimento hanno come conseguenza che chi è andato in pensione prima sia danneggiato in quanto ha versato meno contributi. La critica quindi andrebbe fatta allo strumento scelto, non al progetto di legge. Che di problemi ne ha comunque tanti. Primo fra tutti il rischio di aprire al ricalcolo contributivo per tutte le pensioni in essere, non solo quelle sopra i 4mila euro mensili (in realtà un po’ di meno a causa della tasse addizionali locali che incidono sul reddito pensionistico, fissato in 80mila euro annui). L’altro problema riguarda la penalizzazione delle donne: la tabella su cui si basano i nuovi coefficenti di trasformazione per ciascun anno di decorrenza della pensione dal 1974 non prevedono (come accadeva prima della riforma Fornero) una distinzione tra uomini e donne, che potevano lasciare il lavoro (nell’idea che accudissero familiari) con 5 anni di anticipo.

LA TABELLA E I NUOVI coefficenti di trasformazione sono stati definiti dall’Inps di quel Tito Boeri più volte minacciato di licenziamento da Lega e M5s.
Ieri Di Maio ha risposto con accuse molto dure a Repubblica con il solito post su Facebook. Il ministro ha parlato di «falsità» motivate con la «paura di perdere pensioni d’oro» ribadendo di voler «eliminare le sperequazioni e le ingiustizie», spiegando che «l’Inps sta ricostruendo la storia contributiva di tutti coloro che hanno una pensione superiore a 4.000 euro: quelli che prendono più di quanto hanno versato, una volta individuati, avranno un taglio pari a quello che prendono in più», semplificando fin troppo.

DI MAIO HA POI MOTIVATO la scelta del ricalcolo al posto del «contributo di solidarietà» sponsorizzato invece da Alberto Brambilla, l’ex sottosegretario con Berlusconi e Maroni che ha scritto il capitolo pensioni del contratto di governo e viene dato come successore di Boeri all’Inps in quota Lega. «Al contrario del contributo di solidarietà che è fissato dalla legge in modo secco e uguale per tutti, e già giudicato incostituzionale – scrive Di Maio – il nostro ricalcolo si basa su un calcolo oggettivo ed un principio: quanto i pensionati dovrebbero prendere di pensione in base ai loro contributi versati. Semplicemente equità».

A DIR LA VERITÀ la caratteristica che rende più a rischio costituzionalità il provvedimento è il suo carattere definitivo e non transitorio, come invece fu il contributo di solidarietà varato dal governo Letta nel 2014 che la Consulta approvò. Di Maio contesta poi l’incidenza – non la penalizzazione – per le donne – «sono solo 30mila circa, più o meno 1 su 5» – e ribadisce invece il numero di assegni che saranno ricalcolati: «l’Inps li stima tra 158mila e 188mila». Una quota che garantirebbe i 500 milioni di gettito, obiettivo della legge per alzare le pensioni minime e sociali a 780 euro (il livello del reddito di cittadinanza), stima invece contestata da altri studiosi di previdenza.