«La prima prova di questo governo è il taglio dei parlamentari, va fatto nelle prime due settimane di ottobre. Perché qualsiasi cosa accada alla fine voglio poter dire a tutti che siamo riusciti a fare una riforma che gli italiani aspettavano da decenni». Luigi Di Maio è il primo a non mostrarsi sicuro sulla tenuta del governo e della legislatura, quando torna a spingere sulla riforma bandiera del Movimento 5 Stelle da fare prestissimo, prima che «qualsiasi cosa accada». Ma nelle due settimane trascorse da quando è nato il governo, il confronto tra alleati sulla legislazione di contorno che dovrebbe «incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica» (come è scritto nel programma) non ha fatto un passo avanti. E «i meccanismi di compensazione sono la sostanza, non il contorno», ha avvertito ieri il capogruppo Pd alla camera, Graziano Delrio.

Ma Di Maio insiste per fare prestissimo. E lo fa nei consueti modi – «La fiducia si dimostra alla prova dei voti in parlamento» – che irritano il Pd. «Lavoriamo per fare le cose invece che alimentare divisioni o sospetti», risponde il senatore dem Mirabelli. Lo stallo ha spiegazioni pratiche, non è ancora stato risolto il braccio di ferro interno al governo sulla delega alle riforme, che l’ex ministro Fraccaro vorrebbe mantenere anche adesso che ha traslocato a palazzo Chigi come primo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma ha soprattutto spiegazioni politiche: l’unico modo per bilanciare un po’ il sacrifico di rappresentatività che porta con sé una riduzione così pesante dei parlamentari (meno 38%) è quello di passare a un sistema elettorale proporzionale puro. Ma su questo è soprattutto il Pd a essere diviso. Dopo la levata di scudi di Prodi e altri padri nobili in favore del maggioritario, Zingaretti ha fatto macchine indietro e garantito che «non c’è alcuna decisione presa sul proporzionale». «Non è nel programma di governo» ha detto ancora Delrio e in effetti al punto 10 è prevista la revisione della legge elettorale ma non è detto come. Il segretario del Pd in questi giorni sta ricordando a tutti che lui è sempre stato favorevole al maggioritario, un modo per uscire fuori dall’angolo nel quale vorrebbe cacciarlo Renzi. Lo scissionista è tra i primi interessati alla legge proporzionale, ma nega di aver cambiato idea. «Io resto per il maggioritario – sostiene – ma il proporzionale è nell’accordo tra Zingaretti e Di Maio e non voglio creare problemi».

La legge elettorale è l’ostacolo più grosso, visto che una volta scelto il sistema proporzionale – la correzione del Rosatellum già aggiornato da Calderoli due mesi fa è abbastanza semplice, in pratica si cancellano i seggi assegnati con l’uninominale – bisognerà discutere di soglie di sbarramento. In ogni caso al senato dopo il taglio dei parlamentari resterà una soglia di implicita sicuramente più alta di quella che sarà formalizzata (forse 4%). Più semplice la discussione sul resto dei provvedimenti che propone il Pd, come la sfiducia costruttiva e l’allargamento ai presidenti di regione di alcune sedute del senato (anche se ci sarà bisogno di leggi costituzionali); non presenta grandi ostacoli se non la necessità di un voto a maggioranza assoluta la revisione dei regolamenti delle due camere per adattarli ai nuovi numeri.

Tante questioni aperte, troppe perché le si possa definire – anche solo incardinando i primi provvedimenti e stabilendo un ordine di priorità – in due settimane, il poco tempo che Di Maio concede per approvare definitivamente il taglio dei parlamentari. «Bastano due ore di lavoro», ripete il ministro degli esteri, ben sapendo che anche se non può essere più emendato, il provvedimento deve passare per la commissione e il dibattito sugli ordini del giorno con i quali si proverà a «contestualizzare» la riforma con le «garanzie» richiederà di certo più tempo. Spinge anche il capogruppo grillino D’Uva: «Mercoledì prossimo, in occasione della conferenza dei capigruppo, sarà fissata la data della votazione del taglio dei parlamentari. Tutto il resto sono chiacchiere». Il che è certamente vero, anche perché mercoledì la capigruppo dovrà licenziare il programma trimestrale dei lavori d’aula e di certo per regalare ai 5 Stelle la loro bandiera – regalandola anche a Salvini che con meno parlamentari e questa legge elettorale ha tutto da guadagnare – non si andrà oltre dicembre.