Mohammed Dahlan non perde occasione di lasciare il segno nelle cronache mediorientali. Si torna a parlare di lui ma stavolta non può rallegrarsene. La Turchia ha messo una taglia da quattro milioni di lire (oltre 600 mila euro) sulla sua testa e lo ha inserito nella categoria “rossa”: i ricercati considerati la minaccia di più elevata. Secondo Ankara l’ex capo dell’intelligence interna palestinese, in rotta con il presidente Abu Mazen e il partito Fatah (da cui è stato espulso nel 2011), e in esilio dorato negli Emirati, ha avuto un ruolo importante nel fallito colpo di Stato del luglio del 2016. Avrebbe trasferito fondi al movimento Hizmet del predicatore Fetullah Gulen, nemico di Recep Tayyib Erdogan, considerato la mente dietro il golpe.

 

Si tratta di un nuovo atto dello scontro tra Dahlan ed Erdogan. Di recente, in un’intervista, Dahlan ha accusato il presidente turco di sottrarre oro alla Banca centrale della Libia e di aver protetto il leader dello Stato islamico Abu Bakr al Baghdadi, ucciso il mese scorso dalle forze speciali Usa in Siria. Accuse pesanti (ma non del tutto infondate) alle quali la Turchia probabilmente risponderà con una richiesta di estradizione. Gli Emirati – che, si dice, avrebbero usato Dahlan in svariate missioni diplomatiche e di intelligence – non la concederanno, anche in considerazione della rivalità con Ankara. Però Dahlan rischia di perdere la base di appoggio di Gaza (di cui è originario). I suoi ex nemici di Hamas, che allo scopo di infastidire i rivali di Fatah da alcuni anni tollerano le sue attività nella Striscia, potrebbero cedere a pressioni turche – Erdogan è uno dei principali sostenitori del movimento islamico palestinese – e mettere fine alla libertà di azione di cui gode e rendere la vita difficile ai suoi fedelissimi.