«Egregio Sindaco Marino, siamo lavoratrici delle mense scolastiche di Roma: abbiamo passato le feste natalizie nell’assoluta insicurezza sul nostro futuro, ricevendo minacce e insulti dalle aziende a cui il Comune ha dato l’appalto. Come se non bastasse, al nostro ritorno a scuola, ci è stato chiesto di firmare contratti individuali, peggiorativi rispetto ai nostri rapporti precedenti: in molti casi abbiamo dovuto chiamare polizia e carabinieri per farci rispettare». La lettera delle operatrici delle mense di Roma – 2500 in tutto il territorio comunale – denuncia una situazione di scandalo e di confusione, che si spera il sindaco Ignazio Marino già in queste ore comincerà ad affrontare.

Il Comune, però, e in particolare la gestione Marino, ha una parte di responsabilità: come spiega la Filcams Cgil, a fine dicembre sono infatti stati portati in aggiudicazione dei bandi risalenti alla vecchia gestione Alemanno. «Che però – dice la sindacalista Katia Della Rocca – l’attuale amministrazione, se avesse voluto, avrebbe potuto abrogare e riscrivere». Il problema principale sta nella bassa base d’asta – 5,46 euro a pasto – che poi nel meccanismo del massimo ribasso si è ridotta fino a 4,50 euro, il che vuol dire tagli: «Sulle derrate o sul costo del lavoro? – si chiede la Filcams – Tanto più sapendo che in base al capitolato il cibo, giustamente, deve avere requisiti standard di qualità, essere bio e a chilometro zero». E’ semplice capire che i tagli stanno tutti in quei contratti individuali «proposti» alle lavoratrici, o meglio imposti, visto che l’alternativa è la rinuncia al posto.

I contratti individuali, non potendo ridurre le retribuzioni da contratto nazionale, impongono una iper-flessibilizzazione dell’operatrice: non vengono assegnate precise sedi, o anche solo municipi di riferimento, vengono frammentati gli orari e ampliate le fasce, in modo tale che la stessa lavoratrice potrà essere spostata come una pallina da una parte all’altra della città. Cgil, Cisl e Uil avevano indetto uno sciopero per oggi, 8 gennaio, ma poi lo hanno ritirato. Il 3 hanno infatti firmato un accordo di massima, che però lascia alcuni nodi ancora da concordare, come ad esempio quello delle «festività sospese»: le imprese hanno cioè deciso di non retribuire le festività natalizie, come già avviene per quelle estive. Perlomeno, grazie a questa intesa, si sono garantite le stesse ore di lavoro (la controparte aveva ridotto pure quelle) per le vecchie operatrici, mentre si è stabilito che per le neo assunte si potrà derogare al minimo di 15 ore settimanali previste dal contratto.

Nonostante il ritiro dello sciopero, l’atmosfera è comunque rovente, come testimonia la lettera inviata proprio ieri dalle lavoratrici al sindaco. D’altronde, non è ancora stato ritirato un altro stop indetto dai confederali, indetto per il 13, che quindi resta sempre pendente sulle scuole.

La Cub, che sta trattando con le imprese e il Comune su un tavolo separato, spiega che impugnerà i contratti individuali: «Troviamo scandaloso il nodo delle festività sospese – dice Antonio Amoroso – e sicuramente continueremo a mobilitarci, oltre a intraprendere le vie legali. Per noi su questo punto non si deve neanche iniziare una trattativa, e anzi poniamo al Comune un problema anche per l’estate: perché non utilizza queste lavoratrici, che hanno stipendi già magri di 500-600 euro mensili, per sostituire il personale dipendente in ferie? A Milano stanno già sperimentando soluzioni del genere: si assicurerebbe una continuità di reddito anche per mesi come luglio e agosto».

A complicare ulteriormente il quadro, si è messa la disputa tra due colossi della ristorazione, la francese Sodexo e la tedesca Dussmann, che si contendono alcuni lotti di appalto: la Sodexo era stata infatti originariamente esclusa, a favore della Dussmann, perché la sua offerta era stata ritenuta troppo alta. Ma la multinazionale d’Oltralpe ha fatto ricorso al Tar, che lo ha accolto: il 22 gennaio si dovrebbe avere la sentenza sull’assegnazione.