C’è ancora un giudice a Berlino. Matteo Renzi e il cerchio magico che ha scritto lo Sblocca Italia hanno subito un sonoro e meritato ceffone da parte della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi molti commi dell’articolo 1 del decreto legge 133/2014. Con il comma 1 si affidava all’Amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato il ruolo di Commissario straordinario per la realizzazione del collegamento veloce tra Napoli e Bari. Un’opera fondamentale per dare qualche opportunità ad una parte del sud Italia e sulla cui realizzazione c’era il generale consenso delle Regioni coinvolte.

Il ricorso della regione Puglia riguardava il rispetto della Costituzione poiché aveva il diritto di esprimere le sue volontà nella definizione delle caratteristiche e del tracciato dell’opera. Quell’articolo non lo permetteva umiliandola nel ruolo ancillare di chi è chiamato a sottoscrivere un atto senza fiatare.

Tacere ed obbedire, questa è la concezione della democrazia per Matteo Renzi: un plauso dunque all’ex presidente Vendola che si è appellato alla Corte ottenendo la cancellazione di molti commi di quell’articolo.

Durante la discussione parlamentare un autorevole gruppo di giuristi come Paolo Maddalena, urbanisti come Vezio De Lucia e di uomini di cultura come Salvatore Settis aveva dato vita ad una serie di contributi critici che vennero meritoriamente pubblicati da Altreconomia con il geniale titolo «Rottama Italia». Se il governo avesse avuto la sensibilità di leggere le critiche o chiamare quei personaggi in audizione ci sarebbe stato il tempo per correggere errori così grossolani. Nel volume Maddalena già affermava infatti che quell’articolo era incostituzionale perché non rispettava il ruolo delle Regioni. Ma l’ordine del cerchio magico è sempre e solo quello di ignorare le buone ragioni della società civile ed ha imposto la decretazione d’urgenza. Del resto, il ministro competente all’epoca era quel Maurizio Lupi che solo dopo poco tempo si sarebbe dimesso per una vicenda molto poco commendevole.

Questo pacchetto di gladiatori esce con le ossa rotte dalla vicenda: con la sentenza n. 7/2016 pubblicata ieri, la Corte Costituzionale nel ribadire il diritto del governo a definire le opere strategiche per il paese, afferma nel contempo che deve farlo coinvolgendo le Regioni come prevede l’articolo 117 della Costituzione. Chissà perché i consiglieri del presidente Napolitano non si sono accorti di una stesura cosi eversiva.

Due ulteriori considerazioni. La prima riguarda l’esistenza di una assoluta uniformità di cultura del territorio tra il Pd e la destra. L’ex presidente della Campania Caldoro non ha avuto la stessa sensibilità istituzionale della Puglia e non si è appellato: il partito della nazione faceva evidentemente le prime concrete prove di unità d’azione. La seconda riguarda una questione non più rinviabile: l’opera ferroviaria era stata decisa sulla base della Legge Obiettivo (241/90) voluta da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti che ha cancellato molte regole di trasparenza, e provocato vergognose ruberie e scempi ambientali. Una legge definita da Raffaele Cantone come «criminogena». La Corte Costituzionale ha compiuto il suo dovere cancellando le norme sbagliate. E’ ora che il Parlamento cancelli quella legge: da quindici anni l’Italia realizza grandi opere con una legge che tutela il crimine invece degli interessi pubblici.

Sappiamo che il sempre più irrequieto primo ministro non metterà quest’ultimo punto tra le sue priorità. Aspettiamoci anzi che dopo lo schiaffo al corpo diplomatico il premier nomini il fidato Marco Carrai a presiedere la Corte. Lo so che non si può fare, ma per Matteo Renzi nulla è impossibile, almeno fino al voto degli italiani sul referendum contro lo scempio delle ”trivelle libere” contenuto sempre nello Sblocca Italia.