“Il modello Syriza non è fatto per governare”. E’ un’amara constatazione quella che Alexis Tsipras ha fatto ieri durante la sua lunga intervista alla radio del suo partito “Sto Kòkkino”. Seguita da una riflessione ancora più triste: nel 2013 si è svolto il congresso di fondazione di un Syriza che smetteva di essere una Coalizione di piccole e grandi organizzazioni della Sinistra Radicale per diventare un partito unitario ma pluralista, con piena libertà per le correnti interne. “Ora quel modello pluralista e polifonico è fallito”, ha ammesso il premier greco: “Syriza non si è mai strasformato in un partito unitario e la responsabilità è solo mia”. Solo chi sa quanto sia stato grande il suo impegno personale due anni fa nel seguire la strada della “sinistra sociale”, aprirsi a nuovi linguaggi e nuovi interlocutori, può ora cogliere fino in fondo la melanconia di questo fallimento.

E’ questa la sfida che il leader greco deve affrontare già domani nella riunione del Comitato Centrale, dove i dissidenti pare abbiano un leggero vantaggio. Da lì si deciderà di andare al congresso, che Tsipras vuole si faccia al più presto e sia “straordinario”, cioè con nuovi delegati. Il suo obiettivo è far rappresentare all’assise tutta la dinamica sociale e politica che il suo governo ha sviluppato in questi mesi e non farsi incapsulare nella retorica del vecchio Syriza: “C’è una sinistra nella società che si esprime a milioni, mentre Syriza rimane ancora il partito dei 30 mila militanti”, ha constatato.

L’obiettivo di Tsipras, lo abbiamo più volte ripetuto, è quello di salvare il suo governo di sinistra e la sua dinamica riformatrice, continuando la battaglia per cambiare l’eurozona dalle nuove posizioni in cui è stato costretto ad arretrare. Per chi sta fuori dalla Grecia è difficile capire, ma per chi sta dentro il paese le cose sono molto chiare: basta vedere ogni sera i feroci attacchi delle Tv oligarchiche contro il governo (la nuova vittima designata è Varoufakis, presunto “golpista”) per capire che non c’è stata alcuna capitolazione, solo un serio colpo subito sul fronte europeo.

La spregiudicata oligarchia greca sa di rischiare molto: è già pubblico il progetto della nuova asta delle frequenze televisive e le condizioni per ottenere la licenza prefigurano un panorama dell’informazione TV completamente diverso: niente più società off shore, niente prestiti a babbo morto dalle banche, tassazione rigorosa e bilanci trasparenti. Gli oligarchi stanno per perdere il loro mezzo di pressione più importante, quello con il quale avevano sottomesso il vecchio sistema politico per saccheggiare le casse pubbliche.

Nell’intervista Tsipras è apparso amareggiato dai suoi compagni: “Non posso capirli: abbiamo deciso tutti insieme di fare di tutto per cercare di salvare le banche e quei cittadini che hanno scelto di non portare i loro risparmi all’estero. Poi torno indietro e mi sento dire: sosteniamo il governo ma votiamo contro l’accordo ottenuto. Non è possibile andare avanti così”. La “soluzione corretta”, secondo il presidente di Syriza, dovrebbe essere che i deputati dissidenti adempiano all’impegno scritto e firmato al momento in cui hanno accettato la candidatura: che il seggio parlamentare appartiene al partito e che, in caso dissenso, si dovrebbero dimettere per offrirlo al primo dei non eletti. Finora lo ha fatto un solo deputato.

Da quel orecchio il leader di dissidenti Panayotis Lafazanis non ha mai voluto sentire. Al contrario, alla manifestazione che ha organizzato qualche giorno fa ha esplicitamente rivendicato il suo essere rappresentante del “vero Syriza” e di quel 61,3% dei cittadini che hanno votato No al referendum. Tornare al programma originale del partito e iniziare una “nuova riflessione” riguardo alla possibilità di uscita dall’eurozona. “Ci sono alternative”, ha ribadito Lafazanis, rifiutandosi però di scendere nei dettagli. Anche perché, perfino il meno preparato in questioni monetarie può capire che con 22 miliardi (a tanto ammontano le riserve della Banca di Grecia) non è possibile creare alcuna moneta.

Come dare torto a Tsipras? Dai comodi scranni dell’opposizione è facile distruggere l’oligarchia, sgominare il liberismo in Europa e far trionfare la giustizia sociale. Quando sei al governo devi invece negoziare, ragiungere compromessi, scontentare i tuoi elettori, pur di ottenere quello che ritieni più importante: la salvezza del paese e della popolazione, a qualsiasi costo. No, Syriza non è fatto per governare.

E’ rimasto in gran parte il partito del 4%, generoso nel promuovere mobilitazioni ma imbarazzato nell’affrontare le complesse questioni che inevitabilmente pone la gestione del potere. Specialmente in periodi di eccezionale criticità, come quello che sta affrontando la Grecia.

Oggi si conterà il vero peso di Tsipras dentro il suo partito. Lui è apparso coerente fino alla fine e perfino ottimista. Ma è probabile che non ce la possa fare. Anche se ambedue gli schieramenti, i “governativi” e i “dissidenti”, scongiurano in ogni modo la possibilità di scissione, di fatto Syriza è già diviso in due. Con tutte le conseguenze di cannibalismo, maldicenze, pugnalate alle spalle e assalti al ciclostile che segnano questi passaggi. Un altro segno della vecchia cultura che ancora segna la sinistra greca.

Il prossimo passo saranno inevitabilmente le elezioni. L’obiettivo del premier è di rinnovare radicalmente il gruppo parlamentare per ottenere una maggioranza stabile, quindi nessuna candidatura ai dissidenti. Che probabilmente faranno una loro lista. Loro punteranno al vecchio 4%, mentre Tsipras può agevolmente volare verso il 40%. “E’ il monarca assoluto della politica greca”, scriveva qualche giorno fa il giornale conservatore tedesco Die Welt.

Mentre però la sinistra greca si dilania attorno al dilemma euro sì ed euro no, ecco che da Bruxelles arrivano altri segnali: le (brutte) misure appena approvate dal Parlamento greco “non bastano”. Bisogna tornare ai tagli alle pensioni e ai nuovi licenziamenti degli statali, alle misure di austerità concordate con il vecchio governo di destra. E’ evidente che il piano Schauble è ancora in esecuzione: bisogna fare fuori il governo Tsipras e se i greci insistono nel votarlo, allora buttare fuori la Grecia dall’eurozona. Ma a questo punto la questione non riguarda più Atene ma tutta l’UE.