Il difficile accordo del 12 luglio sta condizionando in maniera profonda sia l’agenda del governo greco sia la stessa conformazione di Syriza. Alexis Tsipras ne sembra consapevole, a giudicare dalle numerose interviste e dichiarazioni fatte da quella data. Non solo la piena ammissione di un deciso ripiegamento rispetto al suo programma di governo e la conseguente autocritica, ma anche riflessioni sul nuovo percorso da seguire.

Il capo del governo greco insiste sul fatto che questo terzo memorandum di austerità sia il frutto di un «ricatto»: la scelta era tra «un compromesso doloroso o una catastrofe economica», che lui descrive in questi termini: «Se avessi seguito il mio cuore, di alzarmi dal tavolo e andarmene, in quel preciso istante sarebbero crollate le banche greche. Questo crollo avrebbe significato non il taglio dei depositi nei conti correnti ma che non ci sarebbero più stati conti correnti».

Lo scenario descritto dal premier greco è realistico. Di fatto però egli si trova a ripetere esattamente le argomentazioni usate anche dai suoi predecessori: la permanenza nell’eurozona non permetteva scelte di tipo diverso.

L’opposizione di sinistra dentro il suo partito lo accusa di aver tradito il messaggio del referendum, che era quello di dire No alla politica di austerità «a qualsiasi costo». Tsipras risponde: «Dire che il grandioso No al referendum equivaleva a un grandioso Sì alla dracma è una falsificazione». In effetti, nel suo appello per il No, egli lo aveva motivato con la necessità di avere un’arma in più sul tavolo delle trattative. L’uscita dall’eurozona non era mai stata presa in considerazione, né al referendum né alle elezioni del 25 gennaio.

Questo abbaglio strategico pone degli interrogativi rispetto alle lunghe trattative con i creditori: «Fin dal 20 febbraio siamo stati trascinati in un negoziato che mirava solo a logorarci. Con il senno di poi dico che abbiamo fatto male, era evidente che alla fine si sarebbe arrivati al punto in cui siamo ora. Ma la speranza è l’ultima a morire. In ogni modo, sono orgoglioso di quanto fatto in questi mesi, anche se abbiamo fatto molti errori, per i quali io sono il solo responsabile».

Tsipras ha più volte dichiarato di non aver promesso agli elettori «una passeggiata». Non è esattamente così. Spesso, nell’impeto preelettorale, l’abbattimento della politica di austerità sembrava proprio una«passeggiata», con cambi repentini di politica economica «con una sola legge» mentre i mercati «ballano al nostro ritmo». L’opinione pubblica greca conosce bene questa contraddizione, ma non si scandalizza più di tanto. È delusa del risultato ma continua a sostenere il governo, nella convinzione che non ha «tradito» ma è stato costretto a ripiegare, riconoscendogli in pieno le buone intenzioni.

Il referendum stesso non è stato un errore, ritiene Tsipras. Era una scelta «di grande rischio. Erano tutti contro di noi. L’atteggiamento orgoglioso del popolo greco nel referendum, contro ogni avversità, è riuscito a proiettare il problema in tutta l’Europa e a mostrare in tutta la sua crudezza il volto disumano dei partner europei. La compattezza dell’eurozona ha raggiunto il suo limite». La verità è che le fratture all’eurozona sono emerse dopo il referendum, di fronte all’esplicita volontà punitiva mostrata da Schauble e dal governo tedesco. Ma è anche vero che è stato un trionfo per Tsipras e ha mostrato in maniera evidente che non è immaginabile alcuna soluzione politica in sua assenza.

Il punto più delicato per il premier greco è ovviamente il contenuto dell’accordo raggiunto. Anche se ne rifiuta ogni paternità, Tsipras insiste nel sottolineare gli aspetti «positivi». Non solo l’importante impegno a ristrutturare il debito greco entro l’anno ma anche altri aspetti: «Se non fossimo stati noi al governo, la Grecia sarebbe stata costretta ad avere un avanzo primario del 3,5% per il 2015 e del 4,5% dal 2016 in poi. Oggi siamo impegnati a raggiungere un avanzo del 3,5% entro il 2018. Il negoziato ha evitato all’economia greca tagli per più di 15 miliardi».

Ma l’aspetto più importante è quello politico: «L’accordo è stato una vittoria di Pirro per i creditori, una grande vittoria morale della Grecia e del governo di sinistra e sicuramente un compromesso doloroso. Dopo il 12 luglio l’Europa non è più la stessa». Sicuramente c’è una buona dose di esagerazione, ma bisogna ammettere che l’enorme proiezione mediatica e il forte elemento drammatico dei negoziati hanno suscitato un grande interesse e simpatia verso la Grecia e costretto il governo tedesco a respingere attacchi provenienti perfino dalla stessa stampa della Germania.

In questa nuova situazione, il leader riposiziona i nuovi compiti del suo partito e del governo: «Dobbiamo rivedere velocemente il nostro progetto politico. Dobbiamo ricompattarci e passare al contrattacco. Questo nostro progetto deve essere di sinistra. Non può essere né della destra né dei socialisti, loro dicono che se il memorandum non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Noi diciamo che è una ricetta sbagliata. I rapporti di forza erano sfavorevoli e siamo stati costretti ad accettarlo. Ora diamo battaglia per sovvertirlo, per uscirne gradualmente».

Tsipras difende con passione la necessità di rimanere al governo, in modo da poter «combattere da posizioni di forza i privilegi dell’oligarchia». Per questo ci vuole un nuovo Syriza: «La natura pluralista e polifonica del partito può essere un elemento positivo quando siamo all’opposizione. Quando però il partito deve governare, questo pluralismo viene espresso anche in Parlamento. La maggioranza non può svolgere le sue funzioni e non ci può essere una maggioranza à la carte. Né si può dire di sostenere il governo e votare contro le sue proposte. La verità è che dentro il nostro partito ci sono strategie diverse. Io rispetto queste differenze e per questo non ho chiesto misure disciplinari. Temo però che da tempo siano state prese decisioni in favore di uno scontro con i creditori e quindi di provocare una frattura del partito. Io sono il garante dell’unità di Syriza e farò di tutto per salvaguardarla. Ma non ci può essere unità per forza».
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