Nelle scorse settimane abbiamo assistito a due eventi abbastanza importanti per il futuro della costruzione europea, il varo del quantitative easing da parte della Bce e le elezioni greche.

Oggi non è possibile dire quali saranno le conseguenze effettive di tali accadimenti. Comunque, in ambedue i casi, abbiamo dovuto constatare un atteggiamento rigidamente negativo da parte di gran parte delle classi dirigenti tedesche e, in particolare, degli esponenti del governo e della banca centrale.

Nel primo episodio, la resistenza si è manifestata assumendo un parere negativo, più o meno esplicito, sull’operazione varata dalla Bce e cercando comunque di ridimensionarne sottobanco la sua portata effettiva, cosa peraltro abbastanza riuscita; nell’altro, nel dichiarare dopo i risultati elettorali ellenici, con toni più o meno duri da parte dei vari esponenti dell’establishment, che il debito greco non poteva assolutamente essere ridotto.

I due episodi ci forniscono lo spunto per interrogarci sullo stato attuale della questione tedesca.

Bisogna intanto rilevare come stia montando nel paese un rilevante risentimento contro gli attacchi cui i cittadini si sentono esposti da parte delle altre capitali europee e persino da Bruxelles; ancora di più dopo i due eventi, la Germania, nel sentimento popolare, si sente isolata e messa all’angolo.

Come ci informa uno dei pochi economisti controcorrente del paese, Marcel Fratzscher, in un articolo apparso il 27 gennaio scorso sul Financial Times, sui media tedeschi si registrano in questi giorni sentimenti di delusione e di frustrazione, con una visione delle cose che vede ormai Berlino perdere tutte le battaglie e i cittadini tedeschi costretti a pagare un prezzo alto per permettere all’eurozona di andare avanti.

Da una parte in Germania si constata che i rappresentanti della Bundesbank sono stati messi in netta minoranza sulla questione del quantitative easing, dall’altra si sottolinea che la vittoria in Grecia del partito antiausterità indica che l’approccio europeo al caso è fallito.

Secondo questa visione la Germania non avrebbe più alleati in Europa, né a Parigi, né a Londra, né a Roma.

Con l’opinione anti-europea che sta montando nel paese, il governo tedesco si trova ora in grandi difficoltà a non fare la faccia feroce nell’eurozona ed esso appare comunque messo politicamente all’angolo dallo sviluppo degli eventi.

D’altro canto, si può sostenere che la situazione sempre più difficile in cui si trovano il governo e le classi dirigenti del paese, mentre anche l’economia mostra segni di indebolimento, è frutto, almeno in parte, dei loro gravi errori sul piano politico come su quello economico.

Per quanto riguarda la dimensione politica delle questioni, come sottolinea Luca Caracciolo in un articolo apparso su la Repubblica del 25 gennaio scorso, la lunga crisi dell’eurozona mostra che la Germania non riesce ad affermarsi come il paese egemone dell’Europa. Per esercitare con successo tale ruolo, sottolinea Caracciolo, come del resto l’America insegna, bisogna saper organizzare il consenso attorno a sé con qualche concessione e qualche apertura a chi partecipa al sistema; non si può costringere tutti a riprodurre pedissequamente il modello economico e finanziario del paese dominante.

Va sottolineato, a questo punto, che i tedeschi, con un’economia di gran lunga la più importante dell’area, si sono ad un certo punto trovati a governare di fatto l’Europa senza peraltro che l’avessero desiderato e mentre comunque le sue classi dirigenti non erano palesemente preparate al compito.

L’aver ridotto un paese come la Grecia in uno stato di quasi indigenza mostra come essi non abbiano veramente alcuna idea su come procedere con il governo dell’eurozona. Il risultato della politica tedesca è quello che la disoccupazione del paese ellenico è oggi al 27% e quella giovanile oltre il 50%, mentre il pil risulta inferiore del 26% rispetto al punto più alto di prima della crisi. Inoltre i greci sono spinti a mantenere per almeno una generazione, se non due, un surplus primario di bilancio del 4,5% del pil (il che significa fare letteralmente la fame per decine di anni) per ripagare i debiti; questo appare insensato. Come hanno anche scritto di recente Mark Blyth e Cornel Ban su Foreign Affairs del gennaio 2015, non ci si può aspettare che i cittadini di un paese votino a favore di un loro impoverimento strutturale pur di salvare i beni dei loro creditori.

L’incapacità di leadership mostrata dalla Germania non deve peraltro farci dimenticare che il nostro continente avrebbe bisogno di una guida forte, lungimirante e responsabile. La Germania potrebbe cominciare a rifarsi degli errori passati magari affrontando correttamente proprio la questione greca. Speriamo.