Poiché dalla mia prima campagna elettorale – le municipali a Roma nell’autunno 1947 – ad oggi ho sempre subito una qualche delusione (sola eccezione le europee del 1984 in cui il Pdup era in lista con il Pci e ci fu il famoso sorpasso sulla Dc) io sono la meglio preparata.

E però, anche i compagni di Syriza non si aspettavano un trionfo. All’inizio della campagna elettorale avevano 10 punti in meno rispetto a Nuova Democrazia e quelli sono restati (9 e mezzo, per l’esattezza), sebbene i sondaggi all’ultimo sembravano indicare un pareggio e le speranze si erano accese.

Si aspettavano però un più equo giudizio sui meriti di un governo che ha raccolto il paese in una condizione disperata, che non aveva altra alternativa che subire il Memorandum imposto dall’Ue il 14 luglio 2015 e cercare di rispettarlo facendone pagare l’onere il minimo possibile ai ceti più disagiati.

Se Tsipras avesse accolto le suggestioni delle frange più radicali del suo stesso partito e avesse deciso di abbandonare l’euro e così, di fatto, l’Ue, con le dracme stampate in fretta non avrebbe potuto pagare neppure il combustibile per i traghetti che collegano le 1000 isole del paese. Né avrebbe potuto andare dalla destra, in larga parte responsabile della catastrofe greca, e rimettere nelle sue mani il governo, dicendo: io non posso, fate voi.

Sapeva bene, tuttavia, che la sua era una scelta molto impopolare, perché nell’immediato e poi per un tempo lungo le misure imposte dalla Troika sarebbero, e sono state, durissime per il popolo greco. E sarebbe dunque stato facile che in tanti avrebbero attribuito a lui quanto era responsabilità dei governi precedenti.

Più difficile è capire come mai abbiano così massicciamente premiato il leader di Nuova Democrazia, Mitsotakis, che ha presentato un programma scopertamente di destra : abolizione della tredicesima per sempre, della settimana lavorativa di 5 giorni, e così via.

Perché dunque questo voto? Le risposte che mi danno – e si danno i compagni – sono molte. Innanzitutto: mentre nelle periferie più proletarie Syriza è andata bene, i ceti medi, vale a dire una fascia assai larga della società greca, sopratutto dell’area metropolitana (ad Atene vive più della metà della popolazione), che hanno pagato la crisi e ora non si sono sentiti protetti da un governo che si è affrettato a rassicurare per primi i più poveri.

È certo così, ma conta molto in questo paese, il più lacerato d’Europa dal dopoguerra fino a pochi decenni fa, la storia, che ha lasciato un’impronta durissima nella memoria; e nella struttura dello stato: la guerra civile e lo sterminio che ne è seguito, e poi, non solo l’emarginazione dalla vita politica, ma l’allontanamento fisico della sinistra, costretta all’esilio dai regimi antidemocratici che si sono susseguiti e hanno forgiato un apparato reazionario che ancora pesa, una narrazione tuttora tramandata nelle scuole che legittima la cultura di destra.

E che dire della punizione inferta a Syriza dalle regioni del nord, per aver concesso alla ex Macedonia jugoslava di chiamarsi Macedonia del nord, «un’offesa» alla patria di Alessandro Magno? Ci vuol altro per sradicare questi macigni. Del resto anche nel 2014 – il primo grande balzo in avanti di Syriza – Nuova Democrazia conservava il suo ragguardevole 20%. Anche in questa circostanza si riscopre la verità degli ammonimenti gramsciani: è più facile conquistare un governo che la società.

Qui c’è l’amarezza di chi sente di esser stato ingiustamente condannato per colpe che non sono le sue; anche se rispetto alle europee del 2014 Syriza ha in definitiva perduto assai poco: era allora al 27%, è ora al 23,9. Ma Alexis non ha indugiato: è arrivato alla sede del partito appena il risultato è stato chiaro, la segreteria si è riunita e lui ne è uscito dopo mezz’ora ed è andato calmo al microfono per annunciare che il governo rimette il suo mandato nelle mani del popolo greco: elezioni politiche anticipate.

Fra quattro settimane. Dopo i ballottaggi nelle regioni e comuni in cui si è votato. Che sono un test importante per eventuali alleanze a livello nazionale: quasi ovunque la scelta si avrà fra il candidato di Nuova Democrazia (il più votato) e quello di Syriza. L’esito potrebbe variare, perché la lista in cui si è rinominato il Pasok (un altro dei grandi partiti socialdemocratici europei quasi scomparso) – «Movimento per il cambiamento» – ha ottenuto alle europee il 7,53 %, e un po’ di più alle amministrative.

I suoi voti potrebbero decidere la vittoria di Syriza. E però non sarà così, per via della sua attuale leadership, decisamente legata alla destra. Anche se gli elettori potrebbero far di testa loro. Come anche quelli del Kke, il vecchio ipersettario partito comunista che continua ad avere un suo caposaldo, alle europee, il 5,53%, ferreo nemico di Syriza e che da anni invita all’astensione. Il partito di Varoufakis (lui è candidato solo in Germania) ha afferrato il quorum: chissà?

Più deboli del previsto Alba Dorata e l’altro nuovo partitello fascista, sembra messo su all’uopo dalla stessa Nuova Democrazia.

Sono andata nella sede del governo, molti i ministri in discussioni libere, tutti, così come i loro collaboratori, di quella che in Italia chiamiamo «generazione di Genova». Come voteranno a fine giugno i loro fratelli più giovani? Sono stati loro i grandi assenti di questa partita. Dai dati risulta che avrebbero votato al 30% per la destra, al 25 per Syrisa, al 14 per i fascisti. E però io di questo 25% ai comizi ne ho visti ben pochi.

Da quando il 14 luglio dl 2015 Tsipras firmò il Memorandum, sono evaporati. Come si sa non gli piacciono i compromessi, quelli negativi ma anche quelli positivi. Come da noi, del resto. Sarà bene che riflettano, anche se farlo entro qualche settimana non sarà facilissimo. «Cadere è permesso – ha commentato il ministro delle finanze Tsakalotos – ma rialzarsi è obbligatorio».