Il Kurdistan turco è molto cambiato dall’ultima visita, molti anni fa, e non solo perché le città come Diyarbakir si sono enormemente gonfiate, ma anche perché, nonostante tutti i problemi e le discriminazioni, i kurdi non sono più sotto assedio come in passato.

Continuano a esserci migliaia di prigionieri politici e se sono diminuiti i casi di tortura «non è tanto per il risultato delle pressioni dell’Associazione per i diritti umani ma perché la scelta del governo è di sparare sui manifestanti invece di arrestarli», afferma Sebla Arcan dell’Insan Haklari Derneci, che da 20 anni si occupa degli scomparsi insieme alle madri di Galatasaray, che ogni sabato protestano esibendo i ritratti dei loro parenti.

Merito del cambiamento del clima è anche la speranza suscitata dalla proposta di pace di Ocalan (i dieci punti che se accettati dal governo porrebbero fine alla lotta armata nel Kurdistan turco) e della nuova politica che non chiede più l’autonomia o l’indipendenza del Kurdistan ma diritti uguali per tutte le minoranze.

Il governo turco non ha risposto a Ocalan e continua a strumentalizzare la proposta a fini elettoralistici. Tuttavia il carcere di Imrali, dove Ocalan sta scontando una pena all’ergastolo, è sempre più meta di delegazioni che vanno a discutere delle prospettive future. Che non riguardano solo il Kurdistan turco, ma anche quello siriano.

Il Contratto sociale del Rojava si basa, infatti, sulla politica proposta da Ocalan: una democrazia dal basso, che garantisca i diritti a tutte le minoranze, realizzi la parità di genere e uno sviluppo nel rispetto dell’ambiente. Quando in Siria si è acuita la guerra civile il Partito di unione democratica che controlla il Kurdistan siriano (Rojava) e che non si è schierato né con Assad né con l’opposizione, nel 2013 ha proposto la creazione di una regione kurda autonoma. Questa regione costituita da una confederazione di tre cantoni (Kobane, Afrin e Cezire) è regolata da una costituzione, il Contratto sociale del Rojava. Si tratta di una sperimentazione molto originale ed esemplare nell’esercizio della democrazia. Tuttavia l’aggressione feroce dell’Isil, soprattutto a Kobane, ha impegnato le Unità di difesa – formata da donne e uomini – in una strenua battaglia per la difesa del territorio. Si tratta di forze per l’autodifesa, perché il Rojava si oppone alla militarizzazione del territorio, com’è scritto nel Contratto sociale. Eppure, per combattere la violenza inaudita dell’Isil, pur sapendo che aveva ottenuto anche l’aiuto dell’occidente Usa compresi, i kurdi accettano i bombardamenti della coalizione. Anzi sono i combattenti dell’YPG/YPJ a indicare gli obiettivi da colpire.

«Si tratta di una necessità tattica, quindi la nostra è un’alleanza tattica ma non strategica», ci ha detto Sabahat Tuncel, parlamentare e copresidente, insieme Erturul Kürkçü (per parità di genere) dell’Hdp.

Il Partito democratico dei popoli (Hdp) è nato nel 2013 (contemporaneamente e idealmente legato al processo in corso nel Rojava) con l’obiettivo di unire le forze filo-kurde alla sinistra turca per estendere la propria presenza (anche elettorale) in tutto il paese, in osservanza della nuova politica di Ocalan che ha inaugurato il primo congresso con un suo messaggio.

L’Hdp vuole essere l’organizzazione delle classi oppresse, rappresentare i diritti delle varie formazioni etniche, culturali, religiose e di genere. L’Hdp è un «ombrello» di partiti, associazioni, movimenti come quello che ha portato avanti le proteste del parco Gezi, il movimento Lgbt, e rispetta la parità di genere. L’Hdp punta sul superamento dello sbarramento del 10 per cento alle prossime elezioni legislative turche che si terranno il 13 giugno. Sabahat, che è uscita dal carcere nel 2006 grazie alla sua elezione – aveva scontato otto mesi e mezzo per l’accusa di appartenere al Pkk – ed è stata rieletta nel 2011 a Istanbul, ma non si ripresenterà.

L’Hdp pone il limite di due mandati, salvo eccezioni, ma lei non vuole essere un’eccezione: «Ritornerò a lavorare nel partito e nei movimenti». Nel Kurdistan l’Hdp sarà alleato con il partito curdo Dbp (Partito democratico delle regioni). Sabahat è ottimista: «ora abbiamo 35 parlamentari ma potremmo arrivare a 70». Su che cosa è basato questo ottimismo? «Sono sicura dell’effetto positivo della liberazione di Kobane non solo sul voto dei kurdi e della protesta di Gezi che ha portato a una maggiore politicizzazione dell’opposizione contro la politica oppressiva del governo turco. Per noi le elezioni sono un test», conclude Sabahat, una delle tante splendide donne che abbiamo incontrato durante questo viaggio.