Dopo un anno di campagna militare, l’Arabia saudita apre al movimento ribelle Houthi: da lunedì sera sono in corso negoziati tra la delegazione sciita e la coalizione a guida sunnita che sostiene il presidente Hadi. La conferma arriva da entrambe le parti: da una settimana sarebbero stati avviati i primi contatti che hanno portato alla svolta.

«Si sta lavorando ad un cessate il fuoco lungo il confine per permettere l’arrivo di aiuti umanitari e medici alle città yemenite teatro delle operazioni», si legge nel comunicato della coalizione sunnita. «Il dialogo si incentra sui modi per porre fine alla guerra e lanciare subito un cessate il fuoco», ha aggiunto il portavoce Houthi, Mohammed al-Shire’i.

A mediare sono tribù locali e non le Nazioni Unite che per mesi hanno cercato di trascinare al tavolo la petromonarchia saudita. Eppure gli ultimi quattro giorni l’inviato Onu per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, li ha trascorsi a Riyadh nel tentativo di aprire un varco. Possibile quindi che dietro i negoziati segreti ci sia in parte la mano del Palazzo di Vetro.

Gli incontri si stanno svolgendo al confine tra Yemen e Arabia saudita, zona calda nelle ultime ore: qui si è svolto il primo scambio di prigionieri, atto che sembrerebbe suggellare la buona volontà delle parti (7 prigionieri Houthi in cambio di un ufficiale saudita), e qui è stata siglata una tregua limitata alla frontiera.

Per ora si parla di negoziati limitati a sicurezza dei confini e consegna degli aiuti. Ma resta un segnale positivo il dialogo diretto tra Houthi e Arabia saudita, ripetutamente chiesto dal movimento ribelle che rifiutava di discutere con il presidente Hadi, considerato una marionetta della coalizione.

Chi non vuole fare la marionetta sono proprio gli Houthi che ieri hanno rifiutato la proposta iraniana di inviare consiglieri militari. A muoverla era stato Massoud Jazayiri, vice capo di stato maggiore, che aveva parlato della possibilità di un sostegno sullo stile di quello garantito al presidente siriano Assad.

Consiglieri militari, ma non truppe né armi, ripete Teheran, che ha sempre negato di supportare militarmente i ribelli. Al contrario, la Repubblica Islamica ha sempre svicolato i chiari tentativi sauditi di trascinarla nel conflitto yemenita, preferendo mantenere un profilo basso. Obiettivo dell’Iran pare il mantenimento dell’attuale status quo che lo vede vincente dopo l’accordo sul nucleare siglato a giugno e la priorità data al ruolo di negoziatore regionale.

Alla proposta iraniana ha risposto ieri Yousef al-Feshi: il leader Houthi ha chiesto a Teheran di restare fuori dal conflitto. Una decisione forse derivante da un negoziato che ha il sapore di una sconfitta per Riyadh: impantanata in una guerra che non riesce a vincere e che sta costando miliardi di dollari, cerca una via d’uscita.

Che sia il primo passo verso la fine dell’operazione? “Tempesta decisiva”, ampiamente sostenuta da Qatar, Emirati Arabi ed Egitto, ha devastato il paese: oltre 6mila morti secondo l’Onu, 8mila secondo fonti locali, a cui si aggiungono oltre 2,4 milioni di sfollati. Scuole, ospedali e infrastrutture distrutte, città ridotte a cumuli di macerie nel silenzio internazionale: la guerra yemenita non ha goduto dello sdegno del mondo.

A dimostrarlo sono i finanziamenti raccolti dallo Yemen Humanitarian Response Plan che sotto l’egida Onu aveva chiesto due mesi fa 1,8 miliardi di dollari per portare soccorso a 13 milioni di persone, la metà di quelle che ne necessitano. Ad oggi la comunità internazionale ha messo sul misero tavolo yemenita solo il 2% del totale. Briciole.