«L’obiettivo principale dei nostri là dentro sarà l’abolizione dei vitalizi». Il linguaggio spiccio di Luigi Di Maio serve a mantenere i lettori del «blog delle stelle» concentrati sull’obiettivo. «Là dentro» è negli uffici di presidenza delle camere; i grillini che a Montecitorio hanno raggiunto la vetta con Roberto Fico, non vogliono rinunciare ad avere un questore (tesoriere) in tutte e due le assemblee. Del resto proprio Fico ha cominciato con i gesti concreti: ha rinunciato all’indennità di carica che spetta al presidente di Montecitorio (circa 4.500 euro lordi al mese, si sarebbero aggiunti a indennità, diaria e rimborso spese previsti per tutti i deputati) ribadendo che «il taglio dei costi della politica e il superamento definitivo dei privilegi devono essere delle priorità di questa legislatura». E (anche) su questo la Lega comincia a marciare allo stesso passo dei grillini.

Salvini, che prima dell’elezione dei presidenti di camera e senato aveva detto che l’abolizione dei vitalizi non era una priorità, «perché la rinuncia ai privilegi è stata fatta diverso tempo fa e adesso la priorità è il lavoro», ha detto invece ieri sera in televisione che «non è possibile che ci siano deputati o senatori che lo hanno fatto magari per un anno e che sono in pensione da tempo con due, tremila euro. È immorale».

Prima che immorale è falso, perché nessun ex deputato o senatore può raggiungere cifre simili con la contribuzione di un solo anno di parlamentare. Ma poi Salvini va al cuore della questione: «Se vado a un sistema pensionistico totalmente contributivo deve valere anche per la politica e lo faccio anche retroattivamente», dichiara a Porta a Porta. È il cuore della questione perché come anche i neo deputati stanno imparando, i vitalizi non esistono più. È scritto a pagina 106 della Guida per i deputati della XVIII legislatura: «A seguito dell’abolizione dell’istituto del vitalizio, a partire dal 1 gennaio 2012, è stato introdotto per i deputati un sistema previdenziale obbligatorio basato sul metodo di calcolo contributivo sostanzialmente analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti». Sul «sostanzialmente» ci sono margini di intervento, per esempio per eliminare il privilegio che i parlamentari conservano di poter andare in pensione, a certe condizioni, già a 60 anni. E si potrebbe fare senza il lungo iter di una legge, ma con una delibera degli uffici di presidenza delle due camere (il «là dentro» di Di Maio). Mentre assai più difficile è l’intervento sui diritti consolidati degli oltre duemila ex parlamentari, quelli cessati dall’incarico prima del 31 dicembre 2011 e quelli che erano in carica e sono cessati successivamente per i quali si applica un calcolo «pro rata».

Salvini è a loro che allude parlando di «retroattività», ma come diversi costituzionalisti, lo stesso servizio studi della camera e l’ex commissario alla spending review Perotti hanno evidenziato in questi anni, l’intervento retroattivo solo sulle pensioni dei parlamentari sarebbe prevedibilmente bocciato dalla Corte costituzionale. Che ammette sacrifici dei diritti acquisiti se temporanei, generalizzati e finalizzati alla stabilità dei conti pensionistici (i vitalizi sono invece fuori dall’Inps). Per questo hanno forse ragione gli ex parlamentari quando vedono nelle intenzioni di Salvini la porta aperta a un taglio per tutti i pensionati: «Il leader della Lega, dopo aver annunciato di voler abolire la legge Fornero, pretende di applicarla retroattivamente agli ex-parlamentari, creando un precedente pericoloso che può aprire la strada al ricalcolo delle pensioni degli italiani, così come stanno chiedendo a gran voce la Ue, il Fmi, Cottarelli e Boeri».