Sono passati 10 anni dal Rapporto Mapping sulle violazioni dei diritti umani commesse nella Repubblica democratica del Congo tra marzo 1993 e giugno 2003 ed è arrivato il primo arresto eccellente: la procura francese ha arrestato Roger Lumbala, ex parlamentare e leader del gruppo armato Rassemblement Congolais pour la Démocratie – National (RCD-N). È accusato di uccisioni extragiudiziali, stupri, saccheggi e cannibalismo, crimini commessi tra il luglio 2002 e il gennaio 2003 nell’Ituri (Congo orientale) contro la popolazione Nande e Twa.

Oltre a Lumbala nel Rapporto viene evidenziato, senza rivelarne l’identità, il coinvolgimento di 200 personalità di spicco coinvolte in violazioni che «presentano schiaccianti elementi di genocidio».

Nel marzo 2016, il dottor Denis Mukwege aveva presentato all’Alto commissario Onu per i diritti umani (Ohchr) una lettera firmata da quasi 200 ong in cui si chiedeva la pubblicazione del database che identifica i principali responsabili dei crimini descritti nel Mapping Report, ma l’Alto commissariato rispose che «la divulgazione di queste informazioni potrebbe mettere in pericolo le vittime e i testimoni delle suddette violazioni». Mukwege è tornato sul tema durante la cerimonia in cui gli è stato conferito il Premio Nobel per la Pace (10 dicembre 2018), ma i nomi non sono mai emersi.

E così che da 25 anni la Regione dei Grandi Laghi è in balia del binomio violenza-sfruttamento. Eppure Mukwege continua a chiedere «la creazione di un tribunale internazionale per il Congo, che non deve restare un bastione dell’impunità». Lo stesso Papa Francesco nell’ultima enciclica Fratelli Tutti afferma che «gli accordi di pace sulla carta non saranno mai sufficienti. Occorrerà andare più lontano, includendo l’esigenza di verità sulle origini di questa crisi ricorrente. Il popolo ha il diritto di sapere cosa è successo». La Francia ha aperto la strada e per Mukwege questo «è un primo passo importante contro l’impunità».