Lo spot elettorale lo riprende davanti alla sua villa, mentre esce da una splendida piscina per sventolare sul prato ben curato la bandiera rossa e bianca della Confederazione. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: «teniamoci stretto il nostro benessere». Se all’inizio della sua carriera è stato spesso paragonato a Berlusconi, oggi nessuno esita più a dipingerlo come il politico svizzero che più assomiglia a Marine Le Pen, anche se lui considera che «il programma economico del Front National è troppo di sinistra».

A 75 anni suonati, Christoph Blocher, leader dell’Unione democratica di centro, partito che dalle posizioni centriste e iperliberiste del debutto ha conosciuto una inesorabile deriva verso la destra xenofoba, è ancora il principale protagonista delle elezioni federali che si svolgono oggi in Svizzera. Come ogni quattro anni, i cittadini della Confederazione dovranno scegliere i loro rappresentanti nel Consiglio nazionale, la Camera, e nel Consiglio degli Stati, il Senato, in tutto 246 seggi di cui 59 sono già controllati dall’Udc, prima forza politica del paese, seguita dai socialisti.

Se il partito di Blocher dovesse vincere, come annunciano i sondaggi, potrebbe ottenere un secondo scranno nel governo federale, composto da sette membri.

Per quanti avversari abbia trovato nella politica e nella società svizzera, il «fenomeno Blocher» ha ormai assunto i contorni di una sorta di berlusconismo in salsa elvetica, seppure ancor più centrato sui temi dell’identità nazionale e del rifiuto degli stranieri. Un fenomeno di massa apparentemente inarrestabile, partito dalle località rurali e dai cantoni di lingua tedesca e poi diffusosi anche nelle maggiori città, e in centri a vocazione cosmopolita come Ginevra, di tutta la Confederazione, come ha testimoniato l’esito del referendum promosso, e vinto dall’Udc nel febbraio dello scorso anno e il cui quesito verteva proprio sulla necessità di «fermare l’immigrazione».

Oggi, a fare da sottotraccia al voto federale, c’è la proposta avanzata dal partito di Blocher di espellere gli stranieri che si rendano responsabili di qualche reato e, soprattutto, di rivedere in senso restrittivo le politiche in materia di asilo. «Non abbiamo niente contro i rifugiati, ma non abbiamo più alcun posto per i rifugiati economici», ha tuonato il leader della nuova destra svizzera.

Self made man, figlio di un pastore protestante e cresciuto in una famiglia povera, prima del suo ingresso in politica, Blocher ha fatto fortuna scalando i vertici dell’industria chimica Ems e oggi possiede, tra l’altro, il castello di Rhäzüns e una villa hollywodiana nei dintorni di Zurigo.

«È stato il primo, in Svizzera, ad utilizzare le propria riuscita sociale in campo politico, per costruire il proprio mito personale», ha spiegato il politologo dell’università di Losanna, Oscar Mazzoleni secondo cui Blocher «utilizza le tecniche del marketing e la spettacolarizzazione del dibattito pubblico per fa passare le proprie posizioni radicali». Già legato in passato alla lobby pro-apartheid in Sudafrica e noto per essersi opposto ad una legge antirazzista, Blocher è il primo politico della Confederazione ad essere divenuto anche una sorta di star. Dopo vent’anni che difende la preferenza nazionale e la chiusura delle frontiere è ancora lui «l’uomo nuovo» della politica svizzera.