Otre 3 milioni di persone, di cui due terzi al Sud, hanno percepito il cosiddetto «reddito di cittadinanza» tra aprile 2019 e settembre 2020. Senza questa misura il lockdown a marzo 2020 disposto per fermare la diffusione del Covid avrebbe prodotto una catastrofe economico e sociale nelle periferie delle grandi aree urbane e anche, in particolare nel Mezzogiorno.

NEL «RAPPORTO 2020 sull’economia e la società del mezzogiorno», presentato ieri dopo un incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Svimez evidenzia come questa misura sia diventata nei fatti un «reddito minimo garantito», ovvero un reddito che non pretende in cambio ciò che prevede la legge che lo ha istituito: lavoro gratuito fino a 16 ore a settimana per lo Stato e il privato sociale e «politiche attive del lavoro» con l’obbligo a spostarsi anche su tutto il territorio nazionale per lavorare per le imprese con salari che non permettono la sopravvivenza in città diverse da quelle di residenze. Il governo ha annunciato la volontà di completare questo progetto a partire dal 2021 facendo ricorso anche ai fondi del «Recovery fund». Oggi il «reddito» è un diritto fondamentale involontario contro la povertà assoluta. Domani potrebbe diventare uno strumento di coazione.

CONSIDERATI i primi effetti creati dalla recessione indotta dalle quarantene, Svimez osserva come questa specie di «reddito minimo» sia inadeguato rispetto alla domanda esistente. Sostiene che si è reso necessario estendere la sua platea con un’altra misura diversa, il «reddito di emergenza» per sostenere temporaneamente gli esclusi dal «reddito di cittadinanza».

QUESTA MISURA paradossale è stata in realtà istituita perché il governo non ha voluto estendere il «reddito di cittadinanza». Così ha creato un doppione temporaneo che ha raggiunto 550 mila persone (350 mila al Sud), ha risparmiato sui costi e, com’è stato dimostrato dalla Caritas ha anche impedito l’accesso a intere fasce di invisibili doppiamente escluse. Invece di eliminare le condizionalità, è stato fatto il contrario: sono state moltiplicate. Solo i poveri assoluti in Italia sono 4,7 milioni più i 450 mila «nuovi» (per la Caritas) creati nei mesi della pandemia. Questi numeri andrebbero perlomeno raddoppiati, oggi. È purtroppo probabile che si agirà in ben altro senso. Il «reddito» ha neutralizzato “incontrollabili tensioni sociali» sostiene Svimez. In realtà ha risposto a un diritto fondamentale: quello dell’esistenza.

VISTO DA SUD il lockdown ha prodotto una perdita dell’occupazione pari al -4,5% nei primi tre trimestri del 2020, circa 280 mila posti di lavoro al Sud. L’emergenza ha cancellato re quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 ed il 2019 riportando il tasso d’occupazione delle donne a poco più di un punto sopra i livelli del 2008. Si parla di mezzo milione di persone. Quella giovanile si è ridotta dell’8%, più del doppio della media nazionale. Gli studenti tra i 6 i 17 anni costretti alla didattica a distanza subiscono la povertà delle infrastrutture digitali e quella economica che non permettono di usare Internet, né un pc o un tablet. In queste condizioni sono il 19,5% degli studenti meridionali contro il 7,5% del Nord. Ora il rischio è che questi ragazzi, passata l’emergenza, abbandonino la scuola. Il Sud ha il record della”dispersione scolastica”: il 18,2% contro il 10,6% del Nord. Parliamo di 290 mila ragazzi.

LA «RIPRESA», quando arriverà, sarà differenziata su base regionale. Le regioni del «triangolo della pandemia» (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) prenderanno quota perché più integrate nelle catene disub-fornitura. Basilicata, Abruzzo, Puglia, Campania tengono, le altre mostrano «segnali preoccupanti di isolamento».

TRA LE MISURE elencate per il rilancio del Sud il premier Giuseppe Conte, intervenuto alla presentazione del rapporto, ha parlato di una decontribuzione del lavoro a favore delle imprese fino al 2029, incentivi per i giovani under 35 e 2800 assunzioni nella P.A., oltre a 43 miliardi di fondi Ue da riuscire a spendere. A ore sarà annunciato un accordo con MIttal a Taranto. Per il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano saranno «le università, i giovani, il terzo settore e le imprese» ad essere protagonisti di un nuovo «sviluppo» del Mezzogiorno.

IL COVID non è stato una «livella» che ha reso tutti più poveri, osserva Svimez. È il contrario: «Un acceleratore dell’ingiustizia sociale». La crisi la subisce chi è povero, in cassa integrazione con decurtazione del salario a rischio di licenziamento, le partite Iva senza più più i bonus estemporanea , gli invisibili.