Per ’l’irriducibile’ Alfredo D’Attorre, «l’ingresso di Verdini nella maggioranza è anche un simbolo con il quale si chiude il cerchio del riposizionamento del Pd». Il prossimo passaggio, spiega sarà nella legge di stabilità «dove si toglie la tassa sulla prima casa, realizzando l’obiettivo storico del primo Berlusconi; e dove per la riduzione fiscale si dà la priorità ai profitti aziendali anziché al lavoro; e dove si tagliano 4 miliardi alla sanità. E dove non ci sarà nessuna fiscalità di vantaggio per il Sud, cosa che Renzi avrebbe dovuto trattare con l’Europa come fece Merkel per i suoi lander». La conclusione è sconsolata. «Rispetto a questo noi che faremo? Una conferenza stampa per presentare emendamenti che poi ci faranno ritirare? Un po’ di comunicazione, tranne poi ritrovarci a dover votare la fiducia?».

«Noi» sta per minoranza Pd. L’avvicinamento fra bersaniani e cuperliani va avanti senza grandi slanci, giusto in tempo per incassare tutti insieme la beffa del trionfo di Verdini. Quello di lunedì per la minoranza dem è stato un brutto risveglio alla dura realtà, il giorno dopo le affettuosità fra il presidente del consiglio Matteo Renzi e il senatore ’taxista’ di transfughi del centrodestra. Il primo, domenica su RaiTre, ha riconosciuto al secondo la «coerenza» di chi «aiuta l’Italia»; e il secondo, in contemporanea su Sky, meno aulico e più concreto, ha avvertito il governo che «la maggioranza al senato non c’è» e che i suoi uomini voteranno «anche la riforma del fisco e quella della giustizia». Anche se i due smentiscono, di fatto è l’ingresso in maggioranza dell’Ala destra.

E cioè precisamente quello che la minoranza Pd voleva evitare trattando la resa sull’elezione dei senatori. Tutto inutile. Il senatore Federico Fornaro ammette lo smacco: «Mi sarei aspettato maggior riconoscimento del senso di responsabilità e della lealtà che la minoranza Pd ha dimostrato in questo difficile passaggio».
Per la minoranza Pd è una figuraccia, ma anche e soprattutto la misura della profondità del fosso in cui è finita dopo la firma della tregua con Renzi. La speranza è che ora il premier rispetti l’accordo sulla modalità dell’elezione del capo dello stato e sulla legge per l’elezione dei futuri senatori. Ma ormai le minacce della ex ditta non preoccupano più nessuno: grazie appunto all’apporto di Verdini. E se il presente della minoranza è inglorioso, il futuro rischia di essere anche peggiore: quando fra un anno Renzi metterà tutto il partito a fare propaganda per il sì al referendum. E la minoranza residua – in questi giorni circolano voci di nuovi abbandoni – si troverà stretta tra la morsa della disciplina di partito e lo scarso entusiasmo per la legge.

A Bersani, vittima illustre della resa – per aver dichiarato «irrinunciabile» il principio dell’elezione diretta dei senatori salvo averci rinunciato – per non resta che il monito morale via facebook: «Non mi preoccupo di Verdini e compagnia ma del Pd e delle politiche di governo. Sembra che valori, ideali e programmi di centrosinistra si sviliscano in trasformismi, giochi di potere e canzoncine», ha scritto ieri. E ancora: «Tanta nostra gente pensa che sia ora di rendere più chiaro dove si stia andando». Ma è finito il tempo delle celebrazioni dell’unità del partito. Stavolta dal Nazareno partono in stereofonia le repliche ruvide dei due vicesegretari. «Non credo sia utile che ogni settimana, anche da parte di Bersani, si costruisca una nuova polemica. Il rispetto per il Pd è anche non aprire ogni giorno un fronte interno e non alimentare tensioni», attacca Lorenzo Guerini. E Debora Serracchiani passa alla minaccia neanche tanto velata: «Il partito e il governo hanno fatto uno sforzo importante per tener conto di tutte le voci. Questo impegno non verrà meno, ma occorre che ci attenga a un certo senso del limite: trasformismo e giochi di potere sono parole pesanti, che vanno pronunciate con molta ponderazione». Bersani zittito, compagnia avvertita. E infatti stavolta la compagnia tace. A difendere Bersani resta giusto il fido Gotor: «Le sue parole meritano minore arroganza e maggiore rispetto».