«L’estrema destra ha rubato la vittoria ai conservatori». La stampa scandinava non ha dubbi. Certo, il leader socialdemocratico Stefan Löfven, alla testa di una coalizione elettorale “rossoverde” che comprendeva anche gli ecologisti e, malgrado su posizioni più critiche, anche il radicale Partito socialista della sinistra, si appresta a formare un nuovo esecutivo progressista a Stoccolma dopo essere arrivato in testa nelle elezioni di domenica, ma i margini di questa vittoria sono talmente esigui da destare non poca inquietudine.

Più che vinte dalla sinistra, che ricaccia all’opposizione il centrodestra dopo otto anni di governi conservatori e ultraliberisti guidati da Fredrik Reinfeldt – una dolorosa anomalia per i socialdemocratici che erano stati saldamente al potere in Svezia fin dagli anni Venti -, si potrebbe infatti dire che le elezioni siano state in realtà perse dalla coalizione conservatrice e largamente conquistate dall’estrema destra xenofoba degli Sverigedemokraterna, i Democratici Svedesi, alleati a Bruxelles dell’Ukip britannica di Nigel Farage, dei 5 Stelle di Grillo, ma anche dell’eurodeputata del Front National francese Joëlle Bergeron, senza il cui, determinante voto il gruppo «Europa della Libertà e della Democrazia» non avrebbe mai visto la luce nel parlamento della Ue.

Il partito del premier in pectore Stefan Löfven, attestato intorno al 31,2%, è infatti cresciuto solo dello 0,4% rispetto al voto del 2010, considerato dai socialdemocratici come una vera catastrofe, e meglio non hanno fatto i suoi alleati Verdi e di sinistra, il Vänsterpartiet, che hanno soltanto mantenuto le posizioni, raggiungendo rispettivamente il 6,8 e il 5,7%: complessivamente l’alleanza progressista non è andata oltre il 43,7% dei consensi. La batosta, come detto, l’hanno invece presa i conservatori, il partito di Reinfeldt ha raccolto appena il 23,2%, perdendo poco meno del 7% dei consensi rispetto a quattro anni fa.
Ma dove sono finiti tutti questi voti? È possibile che almeno una parte abbiano alimentato lo straordinario exploit fatto registrare dai Democratici Svedesi che hanno più che raddoppiato le loro percentuali, passando dal 5,7% del 2010 all’odierno 12,9%. Questo senza contare che la loro crescita è sbalorditiva anche rispetto alle europee di maggio dove avevano sfiorato il 10%: circa tre punti in poco più di tre mesi.
In ogni caso, l’esito delle elezioni svedesi asseg

a la vittoria solo di stretta misura alla sinistra, come indica plasticamente la composizione del nuovo Riksdag, il parlamento locale, che su 349 seggi ne vede 158 assegnati ai progressisti, che non dispongono così della maggioranza assoluta, 142 al centrodestra e ben 49 agli Sverigedemokraterna che potrebbero così disporre di una sorta di potere di veto sul passaggio di questa o quella norma.

Non si tratta di un risultato di poco conto per una formazione che nell’arco di dieci anni è riuscita a far dimenticare le proprie origini neonaziste – una strategia di progressiva conquista, specie dell’elettorato popolare da cui a suo tempo aveva messo in guardia anche Stieg Larsson che se n’era occupato dalle pagine della rivista antirazzista [/ACM_3]Expo quando ancora il partito funzionava da “vetrina” per le bande violente del suprematismo bianco. Incarnato dal volto pulito del 35enne Jimmie Åkesson, un ex studente di scienze politiche cresciuto nella Scania, la regione più meridionale del paese – dove solo pochi anni le autorità schedavano i Rom come emerso da un’inchiesta –, che ha fatto a lungo il web designer in un’azienda fondata insieme ad un altro membro del partito, attuale portavoce dei Democratici, il messaggio dell’estrema destra svedese si è andato progressivamente “banalizzando”, presentando il razzismo di un tempo, ad esempio sotto l’aspetto di una soluzione pratica e concreta di limitazione dell’afflusso nel paese di rifugiati e richiedenti asilo, uno dei temi che ha fatto da sfondo a questa campagna elettorale. Åkesson che ora parla con piglio governista, «Siamo gli arbitri della politica svedese, d’ora in poi, gli altri partiti dovranno prenderci in considerazione per governare», ha spesso sostenuto la necessità di ridurre le spese «destinate agli stranieri» se si vogliono mantenere i tradizionali standard del sistema di welfare del paese.

Inizialmente attento soprattutto ad accogliere gli elettori delusi dai socialdemocratici, il partito della nuova estrema destra svedese gioca ormai a tutto campo, anche se sembra puntare in primo luogo alla conquista di quella fetta dell’opinione pubblica nazionalista e conservatrice, in termini sociali e di “valori”, che non ha apprezzato le scelte fatte dal centrodestra nei suoi otto anni di governo. Secondo un’inchiesta effettuata all’uscita dalle urne, il partito di Åkesson avrebbe pescato questa volta per il 29% tra ex sostenitori del centrodestra e per il 16% tra quelli del centrosinistra. Inoltre, come ha spiegato il politologo Anders Sannerstedt, «i suoi elettori, due terzi dei quali sono uomini, appartengono prevalentemente alle classi popolari, anche se non sono degli “esclusi”, quanto piuttosto degli Svedesi medi che guardano con preoccupazione ad ogni cambiamento».